sabato 1 gennaio 2011

BIDONVILLE

Tanti fuoriclasse, certo.
Ma la storia degli stranieri in Italia
ha anche un’altra faccia,
quella assai meno positiva
delle meteore e dei sopravvalutati.
Un’intera città di bidoni esteri.
Qui abbiamo stilato la classifica dei primi 100.
Ecco quelli caduti nella rete dal 1980.

MARCO ZUNINO
GS GUERIN SPORTIVO – Mensile, Numero 11 – NOVEMBRE 2010


1.       GAIZKA MENDIETA
Per portarlo via al Valencia, nel 2001, Sergio Cragnotti arrivò a chiudere la trattativa all’incredibile cifra di 93 miliardi delle vecchie lire, oltre a riconoscere al calciatore un ingaggio di 8 miliardi a stagione per la durata di cinque anni. Invece il centrocampista basco lascerà Roma dopo un solo campionato con la Lazio, nel quale collezionò venti, faticose presenze, la maggior parte delle quali impalpabili, senza mai conquistare la fiducia di Dino Zoff e Alberto Zaccheroni, i due tecnici che si alternarono sulla panchina biancazzurra. La verità è che nella città eterna si presentò l’ectoplasma del calciatore chiave che aveva giocato da assoluto protagonista nel Valencia guidato da Héctor Cúper che per due volte consecutive raggiunse la finale di Champions League, perdendo prima rovinosamente contro il Real Madrid e poi ai calci di rigore contro il Bayern Monaco. Di quella squadra Mendieta era il motore e l’anima, oltre che il capitano, nonostante al suo fianco giocassero elementi molto più anziani di lui. Proprio a causa della sua incredibile involuzione si cominciò a dubitare dell’uso sistematico di sostanze proibite da parte delle società spagnole, del Valencia in particolare. Dubbi mai comprovati ufficialmente. Di certo Mendieta, che era anche un punto fermo della Spagna ancora alla ricerca di un’identità vincente, nella Lazio cominciò la sua inarrestabile parabola discendente, tanto repentina quanto inquietante, ancora oggi inspiegabile e proseguita inesorabilmente prima al Barcellona e poi al Middlesbrough. In Italia nessuno ha mai visto il calciatore che aveva cominciato a mettersi in mostra correndo sulla fascia nel ruolo di terzino per poi affermarsi a livello continentale sulla seconda linea del Valencia come uno dei migliori centrocampisti d’Europa, completo nelle due fasi di gioco e temibile quando andava alla conclusione, biondo come Bernd Schuster, concreto quanto Dunga. Doveva unire le qualità di Almeyda e Verón, non riuscì a fare meglio di Giannichedda.

2.       HUGO HERNAN MARADONA
Non è neppure possibile etichettarlo come la brutta copia del fratello Diego Armando. A partire dal piede naturale, che non è il sinistro inimitabile del Diego Armando originale, ma il destro. Oltre che una carriera agonistica “discutibile”, molto aiutata dal “nome”. Nella stagione 1987-88, Hugo venne “raccomandato” a Costantino Rozzi che lo tessera per l’Ascoli, pare con l’ingaggio pagato da Corrado Ferlaino. Mentre il fratello vinceva la classifica cannonieri, Hugo vivacchiava nelle Marche: Ilario Castagner gli concederà tre sole partite dal primo minuto, ma in cambio da Hugo non arriverà neppure un gol e al termine della stagione saluta e vola al Rayo Vallecano, a Madrid.

3.       MA MING YU
Il primo cinese tesserato in Serie A, in Italia ha avuto peggiore sorte del primo giapponese (Miura al Genoa) perché non è mai riuscito a giocare un solo minuto in campionato, limitandosi a una apparizione in Coppa Italia. Nel 2000 Luciano Gaucci aveva sborsato un miliardo per il prestito, fissando a 4 miliardi il definitivo riscatto. Perugia si ritrovò un signore in sovrappeso di età indefinita, sicuramente ultratrentenne, diventato “il Nonno” per i compagni di squadra. Serse Cosmi ogni settimana rassicurava i giornalisti: è quasi pronto per lasciare… la tribuna. Lasciò definitivamente l’Italia nel 2001, senza nessun rimpianto, e due anni dopo si ritirò dal calcio giocato.

4.       LUIS SILVIO DANUELLO
In Italia rimarrà sempre il simbolo del calciatore bidone, ma qualche anno fa l’ex straniero della Pistoiese cercò di spiegare il perché del suo fragoroso fallimento in Toscana. Intanto ha sottolineato come nello spogliatoio era aiutato da tale Marcello Lippi, allora alla fine della sua carriera agonistica. Il problema fu causato, dice lui, dall’errata traduzione del ruolo: in Brasile era una promettente ala destra del Ponte Preta, mentre la Pistoiese era alla ricerca di una punta, però la differenza tra i due ruoli tradotti dall’italiano al portoghese è solo una “o”. La “ponta” in Brasile è un’ala, non un centravanti. Nel 1980 la Pistoiese neopromossa lo pagò 170 milioni.

5.       JAVI MORENO VARELA
Sembrava impossibile fare peggio di Blissett e invece al peggio non c’è mai fine. Succede che nelle file del Milan nell’estate 2001 piomba un semisconosciuto attaccante spagnolo, rivelazione dell’ultima stagione con l’Alavés finalista della Uefa, grazie soprattutto alle sue 6 reti in 8 partite, con tanto di doppietta in finale. Andava per i 27 anni, era fresco di esordio in Nazionale, ma la maggior parte della carriera l’aveva spesa nelle serie minori dopo essere stato bocciato dal Barça agli esordi. Galliani osò accostarlo a Gerd Müller e gli Dei lo punirono inesorabilmente rivelandogli il granchio che aveva preso: 2 gol e mesto ritorno in patria.

6.       LUTHER BLISSETT
Non era impossibile prevederne il rendimento: in Inghilterra, prima di venire al Milan, era soprannominato “Luther Miss It”, Luther sbagliala. Ma i 27 gol realizzati con il Watford nel 1982-83, che gli valsero il titolo di capocannoniere della massima serie, servirono per abbagliare l’allora presidente Giussi Farina, ma anche il presidente Gianni Rivera, per la serie eterna: anche i più grandi sbagliano. Le malelingue insinuarono di una confusione di giocatori fatta dagli osservatori, con Blissett preso al posto del più talentuoso compagno John Barnes. A Milano comunque ci arrivò Blissett. Autore di 5 gol e una marea di occasioni sprecate.

7.       DIEGO FERNANDO LATORRE
Esempio eclatante della miriade di Maradona mancati della storia. Si era messo in luce sulla trequarti del Boca Juniors conquistando la Nazionale, dove giocava alle spalle dell’emergente Gabriel Batistuta. Un’accoppiata che Mario Cecchi Gori volle ricomporre a Firenze, sorprendendo il mondo intero. Sul piano del talento puro, Latorre in Argentina era molto più quotato del compagno. I viola lo bloccarono con un’opzione nel 1991, per portarlo a Firenze nel ’92 quando Dunga liberò un posto per gli stranieri trasferendosi a Pescara. Batistuta superò ogni attesa anche Latorre, ma in negativo: solo due presenze e sempre da subentrato.

8.       RICARDO QUARESMA
All’ultimo giorno del mercato 2008, Mourinho ottiene da Moratti il “regalo” del connazionale Quaresma, pagato al Porto 24,6 milioni. Un’autentica follia, ma l’ala lusitana sembra decisivo per far funzionare al meglio l’ipotetico 4-3-3 che il tecnico portoghese vuole mettere in campo. Invece il 4-3-3 non decollerà mai, tantomeno Quaresma, nonostante l’esordio fosse quello sognato da tutti: gol al Catania con il colpo a effetto della “trivela”. A febbraio però lo stesso Mourinho lo esclude dalle liste Uefa per la Champions, viatico per il prestito al Chelsea, dove continua a non giocare e ritorna a Milano, altra panchina per poi essere ceduto.

9.       DARKO PANCEV
Con la Stella Rossa per quattro anni con una media-gol di oltre 20 reti a campionato arrivando a vincere Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale. Ecco spiegati i 14 miliardi delle vecchie lire per il cartellino. Scarpa d’Oro, nel 1991 sfiorò il Pallone d’Oro. Nel Milan c’era Marco Van Basten? L’Inter pensò di contrapporgli il “Cobra”, che in quel momento appariva come il più letale finalizzatore in Europa, salvo poi scoprirlo insostenibile mangiatore di gol: 3 reti in due campionati e mezzo, ma soprattutto tanti errori sotto porta e un rapporto difficile con Bagnoli, che in seguito l’attaccante macedone accuserà di eccessivo difensivismo.

10.   ANGEL ALEJANDRO MORALES
In blucerchiato il suo soprannome, “Matute”, ancora oggi è vissuto come incubo, simbolo di uno dei periodi più bui della Samp. Lo vuole a tutti i costi il nuovo allenatore Luis Cesar Menotti, il tecnico che lo aveva lanciato nell’Independiente, che tanto per non esagerare lo presenta come “uno dei primi dieci giocatori al mondo nel suo ruolo”. E il ruolo è il più difficile per un calciatore argentino, quello di trequartista, quello del connazionale Diego Maradona. A Genova eredita maglia e posizione in campo di un certo Roberto Mancini. Troppo. Salta Menotti e Matute va in panchina e quindi al Merida. Sette miliardi sfumati.

11.   LEE SHARPE
Prima dell’avvento di Ryan Giggs, era Sharpe il pupillo del non ancora Sir Alex Ferguson. L’ala emergente del Manchester United. Una carriera stroncata dagli infortuni e dalla meningite virale. Una parentesi triste quella dell’ex prodigio Sharpe alla Sampdoria. Arriva nel gennaio 1998 in prestito dal Leeds, per contare tre sole presenze. 

12.   AHMED MIDO
La reiterazione è un aggravante. Prima di portare Adriano a Roma, la società giallorossa nel 2004 si era già arrischiata di puntare sull’ingestibile Mido, croce di sé stesso, uno che ai tempi dell’Ajax era più valutato del compagno di squadra Ibrahimovic ma che quando approdò nella Capitale aveva già fallito al Celta Vigo e al Marsiglia.

13.   WINSTON BOGARDE
Forse il bidone più clamoroso dell’era Bosman: arrivato nel 1997 a parametro zero al Milan, in rossonero non giocherà mai da titolare in campionato e – dopo tre spezzoni di partita e uno svarione clamoroso contro l’Udnese – già nel gennaio 1998 ritrovava Louis Van Gaal (con il quale aveva vinto tutto all’Ajax) a Barcellona.

14.   MIKA AALTONEN
Con la squadra finnica del TPS, nella Uefa 1987-88, segna un gol spettacolare a Walter Zenga e i finlandesi espugnano il Meazza (1-0). L’Inter lo ingaggia, ma Giovanni Trapattoni lo boccia e finisce in prestito al Bologna. In Emilia diventa uno studente universitario modello, ma in campionato non riesce a mettere insieme novanta minuti.

15.   JORGE CARABALLO
Una delle presenze più imbarazzanti apparse in Serie A negli ultimi trent’anni. Presentato al suo arrivo “semplicemente” come il nuovo Schiaffino, doveva essere il biglietto da visita di Adolfo Anconetani, figlio di Romeo, e invece si trasformò in un boomerang impazzito. A Pisa ancora oggi è ricordato come la bufala per eccellenza.

16.   JESPER BLOMQVIST
Pompato dalla stampa di tutta Europa e ben assistito, quando giocava nell’IFK Göteborg veniva raccontato come un predestinato. Nel 1996 giunge al Milan e Fabio Capello scopre che è predestinato alla panchina. Non incide, è timido e stenta ad ambientarsi, la stagione successiva è di troppo e viene girato al Parma dove fa il compitino.

17.   ELOI Francisco Chagas Eloia
Come era successo per Victorino due anni prima, nel 1983 è bastato il gol giusto (al Milan) nel torneo giusto (il Mundialito per Club) per fare arrivare in Serie A questo scricciolo biondo che non aveva il fisico e le abilità necessarie per giostrare su una trequarti europea, tantomeno italiana. Con il Genoa retrocede e non incide neppure in B.

18.   JOSÉ PERDOMO
Fra gli esempi più disastrosi in fatto di lentezza della nostra Serie A, c’è quello dell’allora nazionale uruguaiano Perdomo, il giocatore che secondo Vujadin Boskov giocava peggio del suo cane. Franco Scoglio lo piazzò davanti alla difesa del suo Genoa, l’intento era quello di farne un uomo-mercato in vista del Mondiale 1990.

19.   PABLO GARCIA
Per non fare sentire a disagio i cugini nerazzurri alle prese con il “fenomeno” Vampeta, sulla sponda rossonera nel 2000 approdò il volante uruguagio che in Spagna non era riuscito ad andare oltre la squadra riserve dell’Atlético Madrid. Girato in prestito al Venezia nel 2002, è fra i calciatori più lenti mai visti in A.

20.   NELSON VIVAS
Riserva dell’Arsenal girato in prestito al Celta, anche a Vigo non riuscì a imporsi nell’undici titolare. Come dire? Una pedina necessaria per l’Inter della prima era Moratti, che nel 2001 non se lo fece scappare: utile per occupare all’occorrenza un posto in panchina, più spesso presente in tribuna.

21.   VAMPETA Marcos André Batista Santos
Nel PSV con Ronaldo, Campione del Mondo con il Corinthians, erede di Dunga nel Brasile, nel 2000 l’Inter se lo assicura per la bellezza di 30 miliardi di lire. Garantisce Ronaldo. Lippi se ne va minacciando le pedate e Tardelli boccia senza appello il brasiliano, l’icona calcistica dei gay nel suo Paese. 

22.   LEANDRO Câmara do Amaral
Nell’estate 2000 la Fiorentina non esitò a sborsare 18 miliardi delle vecchie lire, con un ingaggio da 3,5 miliardi a stagione. Doveva rimpiazzare Edmundo ed ebbe il coraggio di vestire la “9” di Batistuta. Cinque gol all’inizio della stagione fecero credere di avere il nuovo Julinho, invece arrivò la panchina.

23.   ABEL XAVIER
Nella stagione 1995-96 aveva fallito al Bari, dove era arrivato in prestito dal Benfica. Allora giocava sulla mediana. Ma è sembrato incredibile il suo ritorno in Italia nel gennaio 2005: ingaggiato a gettone dalla Roma come difensore, nonostante una carriera in caduta libera da almeno tre anni. Ha lasciato il ricordo di capelli e pizzetto platinati.

24.   JÚLIO CÉSAR Santos Correio
Un calciatore brasiliano che inizia a giocare in Honduras qualche dubbio lo lascia. Eppure il destino lo ha portato al Real Madrid, dove ha vinto una Champions League in tribuna, e quindi al Milan, in prestito per poche settimane: il suo arrivo suscitò un’autentica insurrezione popolare, con tanto di striscioni a contestare l’operato della società.

25.   IVAN TOMIC
Al centro del campo della Roma si dimostrerà ancora più lento del predecessore brasiliano Andrade, ma quello che è più grave è che non era un obiettivo giallorosso fino quando la Lazio non strappò alla Roma Dejan Stankovic della Stella Rossa. Tomic giocava nel Partizan e sembrava simile a Stankovic, tanto da valere 18 miliardi.

26.   FÁBIO JÚNIOR Pereira
E’ il 1998 quando alla Roma sono sicuri di avere beffato mezzo mondo ed essersi portati a casa l’alter ego di Ronaldo: Fábio Júnior, pagato ben 30 miliardi di vecchie lire al Cruzeiro. La beffa adesso sappiamo chi l’ha ricevuta. Mai gradito da Zdenek Zeman che lo “accoglie” nella Capitale. In due campionati, presenze e gol con il contagocce.

27.   RENATO PORTALUPPI
Doveva essere il campione in grado di riaccendere i riflettori sulla Roma e riportare i fasti vissuti con il connazionale Paulo Roberto Falcão, invece arriva in giallorosso nel 1988 e riparte nel 1989. Dopo aver illuso tutti in Coppa Italia con 3 gol, in campionato non trova mai la via della rete e in Europa si fa espellere sul più bello.

28.   ANDY VAN DER MEYDE
Lo spessore non era quello del campione neppure quando volava all’ala destra dell’Ajax, all’inizio del decennio scorso. Gli stessi Lancieri avevano avuto dubbi sul suo valore, girandolo in prestito al Twente. Classico giocatore sopravvalutato, in due stagioni all’Inter vivacchia su qualche sprazzo, inutile, in Europa.

29.   PATRICK KLUIVERT
Di Van Basten ce n’è uno. Dopo Bergkamp all’Inter, fallisce miseramente al Milan anche il Van Basten nero, l’attaccante che al centro della prima linea dell’Ajax aveva saputo rimpiazzare a dovere proprio Bergkamp e che aveva strappato la Coppa Campioni al Milan. Il suo score in rossonero si chiude con 6 miseri gol.

30.   OLIVIER KAPO
In grande evidenza sulla fascia sinistra dell’Auxerre, dove mandava a rete l’amico di scorribande Djibril Aruun Cissé, sul suo conto c’erano dubbi sul rendimento e l’atteggiamento. Ma nel 2004 arriva un po’ a sorpresa alla Juventus di Moggi e Capello. Un fiasco annunciato e conclamato a fine stagione, quando comincia a peregrinare in prestito.

31.   DIEGO TRISTAN
E’ un centravanti in cerca di rilancio quello che nel 2007 arriva a Livorno. L’ex capocannoniere della Liga con il Deportivo La Coruña in Toscana cerca l’identità perduta. E non la trova. Nell’ultimo campionato giocato in patria con il Maiorca era rimasto a bocca asciutta. Con il Livorno segna un unico gol. 

32.   KAZUYOSHI MIURA
Abbiamo potuto constatare personalmente come fosse la stella del calcio nipponico in patria, in Italia invece diventò una barzelletta. Incompreso: per la sua straordinaria velocità gli furono annullati, ingiustamente, tre gol. Ne segnò uno valido nel derby. Precursore dei tempi, nel 1994 è stato il primo giapponese a giocare in A.

33.   CARLOS PAVON
Negli ultimi anni ha scritto alcune delle pagine più belle della sua Nazionale, ma in Italia ha dimostrato tutta la fragilità e l’inadeguatezza della sua scuola, non senza illudere agli esordi. Non poteva che essere l’Udinese a puntare su di lui, segna al debutto ma poi più niente. Nel gennaio 2002 i friulani lo girano in B al Napoli (zero gol).

34.   NELSON RIVAS
Leggenda metropolitana o verità? Angelo Mario Moratti, figlio di Massimo, in un viaggio sudamericano rimane colpito dalla fisicità di un difensore colombiano che gioca in Argentina nel River. Non sa che è una riserva e papà sborsa più di due milioni e sottoscrive un contratto pluriennale per avere un posto da extracomunitario occupato.

35.   HRISTO STOICHKOV
Ha già cominciato il declino della sua brillante carriera (che dal CSKA Sofia lo aveva portato al Barcellona e quindi al Pallone d’Oro 1994) quando nel 1995 firma per il Parma. Il fisico comincia ad appesantirsi e il coetaneo Gianfranco Zola è più svelto e all’altezza di lui. Si adegua a fare il comprimario di lusso.

36.   NUNO GOMES
Vicecapocannoniere dell’Europeo 2000 con 4 gol, il prezzo del cartellino schizza alle stelle e diventa l’uomo del momento. A Firenze c’è da rimpiazzare un certo Batistuta, così la Fiorentina si assicurò il fromboliere del Benfica per ben 20 miliardi, in cambio avrà 20 gol in due anni: 1 miliardo a gol.

37.   JUAN EDUARDO ESNAIDER
Prima di centrare un colpo come Ibrahimovic, si paga dazio portando alla Juve una bufala come Esnaider. Già bocciato dal Real Madrid, noto per il pessimo carattere, nel gennaio 1999 Moggi lo sceglie per coprire il vuoto lasciato in attacco dall’infortunato di Del Piero: zero gol in campionato in un anno.

38.   JORGE ANDRADE
Ricardo Carvalho dietro di lui nel Porto non trovava spazio. Poi una serie di gravi infortuni ne hanno rallentato l’affermazione. Nonostante la sua integrità fisica non fosse perfetta, la Juventus nel 2007 puntò su di lui qualcosa come 10 milioni: alla quarta partita in bianconero saltò il ginocchio sinistro e lì si chiuse la carriera.

39.   CHRISTOPHE DUGARRY
La sua colpa più grande è stata quella di essere stato preferito a tale Zinedine Zidane. Insieme avevano costituito le due sorprese più belle del Bordeaux finalista della Coppa Uefa nel 1995-96. Il Milan doveva scegliere uno dei due e optò per l’attaccante, ritenuto più pronto. Lascia il Milan dopo una stagione e 5 gol in campionato.

40.   TIAGO Cardoso Mendes
Nell’estate 2007 alla Juventus serviva un nome da dare in pasto alla stampa e alla piazza, Ranieri cullava l’idea di adottare il 4-3-3 e avallò l’acquisto della mezzala lusitana rilanciatosi a Lione dopo il flop al Chelsea. Ma alla fine del ritiro estivo, l’idea tattica era cambiata e a Torino si sono ritrovati una riserva da 13 milioni.





41.   CYRIL DOMORAUD
Sponsorizzato a sproposito dai media, ciò che lasciava perplessi era la transumanza delle big del calcio italiano a Marsiglia per vederlo giocare e nonostante quello nel 1999 arrivò all’Inter, per collezionare 6 presenze e andare in prestito al Bastia e quindi fare da plusvalenza al Milan. Che dopo un’amichevole lo girerà al Monaco. 

42.   LAMPROS CHOUTOS
SI forma nelle giovanili della Roma, dove evidenzia un certo talento. A sedici anni debutta in Serie A subentrando a Totti. Finito. La Roma lo rispedisce in patria, all’Olympiacos, ma l’Inter (?) lo riporta in Italia a parametro zero per fare panchina e tribuna e giocare dieci partite in prestito fra Atalanta e Reggina: zero gol, naturalmente.

43.   MARIO JARDEL
Nella massima serie portoghese, fra Porto e Sporting Lisbona, aveva segnato 195 gol in 177 partite e in cinque occasioni era stato il capocannoniere del campionato e due volte il capocannoniere della Champions League. E’ grasso, depresso e non va a segno da sei mesi quando nel gennaio 2005 approda all’Ancona. Ma perché?

44.   JOSÉ LUIS CALDERON
Forse l’errore di valutazione più grave imputato a Corrado Ferlaino, che nel 1997 presentò l’attaccante che arrivava dall’Independiente come il nuovo Batistuta, salvo poi perderci in una sola stagione più di 5 miliardi delle vecchie lire, per avere in cambio zero gol e una manciata di presenze in campionato.

45.   RUI AGUAS
Figlio di José Aguas, uno dei più importanti attaccanti della storia del Benfica, negli anni 80 è stato tra i più prolifici centravanti del calcio lusitano, dividendosi tra Benfica, Porto e Nazionale portoghese. Uno dei pochi centravanti di ruolo che ha avuto il Portogallo negli ultimi trent’anni. E’ già un ex quando nel 1995 sbarca alla Reggiana.

46.   HUGO RUBIO
Gigi Maifredi, allenatore emergente del Bologna, nel 1988 non esitò a mandare via Iván Luìs Zamorano per trattenere Rubio. C’era un solo posto disponibile per gli stranieri. La storia dirà che il campione era Zamorano. A complicare l’avventura italiana di Rubio, anche un grave infortunio che lo fermò per sei mesi.

47.   CLAUDIO BORGHI
Silvio Berlusconi già nel 1987 cadde nel trappolone Borghi, un calciatore tanto bello a vedersi quanto poco efficace sul campo. Per evitare scivoloni è buona regola non giudicare da una partita: Argentinos Juniors-Juventus. Sacchi gli preferì l’acquisto di Rijkaard e la storia gli diede abbondantemente ragione.

48.   JESÚS ALBERTO DATOLO
La linea di demarcazione che divide il ruolo di interno da quello di esterno è sottile, talvolta invisibile. Puo’ aiutare l’esperienza e la competenza, elementi mancati a Pierpaolo Marino quando ha scelto Datolo, interno sinistro nel rombo del Boca Juniors, per fare il terzino-ala nel centrocampo a cinque del Napoli.

49.   SANTIAGO SOLARI
Gli affari nel mercato non sono un prodotto di serie: per un Esteban Cambiasso azzeccato la stagione seguente, dal Real Madrid arriva un Santiago Solari splendido soprammobile, elegante, biondo, soprannominato “Il Principino”. Perlomeno ha portato fortuna ai nerazzurri, che con lui hanno cominciato a vincere.

50.   VALDEMAR VICTORINO
Il classico abbaglio. Il piccolo centravanti uruguagio nel 1981 ha deciso il ritiro dalla Celeste (segnale premonitore) quando diventa il protagonista del Mundialito: segna all’Italia di Bearzot, ma soprattutto decide la finale con il Brasile. Con lui il Cagliari crede di arrivare in Europa: neppure un gol in A.

51.   MATTHIAS SAMMER
Nato attaccante nella Dynamo Dresda, dopo la caduta del Muro a Stoccarda diventa uno dei migliori centrocampisti della Bundesliga. Nel 1993 l’Inter è sicura di avere tesserato il nuovo Matthäus; la pensò diversamente Osvaldo Bagnoli. Sammer torna in Germania dopo una stagione. Tre anni dopo vince il Pallone d’Oro. 

52.   OSCAR ALBERTO DERTYCIA
L’altra faccia della medaglia della favola di Gabriel Omar Batistuta a Firenze toccò al suo connazionale nel 1989. Nel fisico e nella giocata Dertycia era la brutta copia di Bati. Neppure la presenza di Roby Baggio alle spalle gli consentì di superare gli evidenti limiti e il destino si accanì fino alla rottura dei legamenti.

53.   JOCELYN BLANCHARD
Per salvare la reputazione del Luciano Moggi re del mercato, vogliamo credere che l’arrivo del modesto mediano del Metz alla Juventus nel 1998 fosse frutto di un’operazione di “finanza creativa”, piuttosto che di una valutazione tecnico-tattica. Non a caso la sua esperienza torinese durerà l’arco di una stagione, vissuta da comparsa.

54.   IBRAHIM BA
Quando il franco-senegalese arriva al Milan, anno 1997, è il più quotato esterno destro di Francia, autentico uomo-mercato. Discreta la prima stagione, la seconda vince uno scudetto pur essendo già una riserva. In prestito a Perugia, viene squalificato per 4 giornate a causa di una testata rifilata a Fabio Macellari.

55.   DANUT LUPU
Mircea Lucescu ebbe il coraggio di spacciarlo come una valida alternativa a Gheorghe Hagi per il Brescia, ma una volta arrivato tutti scoprirono il trucco. Durò una stagione soltanto in Italia, una di troppo. Faticava a mantenere un peso forma accettabile (sfida clamorosamente persa dopo l’addio al calcio) ed ebbe problemi con i compagni.

56.   FRANCISCO FARINOS
Come succederà in maniera più clamorosa con Mendieta alla Lazio, anche il piccolo centrocampista che aveva stupito con la casacca del Valencia vicecampione d’Europa di Héctor Cúper, una volta raggiunto il tecnico argentino all’Inter si trasforma fino a diventare irriconoscibile per quanto risulta involuto.

57.   ATHIRSON Mazzoli de Oliveira
Alla Juventus ha fatto la stessa fine di Juan Pablo Sorín, con il quale condivideva il piede naturale (sinistro) e la duttilità (terzino sinistro e difensore centrale), ma era più atletico. Il fisico non gli bastò per conservare il posto a Torino. Il fatto incredibile è che Luciano Moggi in persona lo presentò come alternativa “intelligente” a Roberto Carlos.

58.   ANDRADE DA SILVA
C’era una volta Falcão. L’errore più grande che si puo’ commettere nel calcio è quello di andare alla ricerca di cloni dei campioni del passato. Ci cascò un allenatore esperto del calibro di Nils Liedholm, che nel 1988 era convinto di avere prelevato dal Flamengo l’erede naturale di quello che era stato l’Ottavo Re di Roma. Lentissimo.

59.   SØREN SKOV
Nella Danimarca di Sepp Piontek perse il duello con Preben Elkjær Larsen e il passaggio in Italia confermò il livello di bomber di Serie B. Aveva fatto la differenza nella serie cadetta tedesca con il St.Pauli e belga con il Cercle Bruges, prima dell’exploit di 23 gol nella massima serie. Ad Avellino neppure una rete nella stagione 1982-83.

60.   SEBASTIAN RAMBERT
Il primo acquisto dell’era Massimo Moratti non è riuscito neppure ad esordire in campionato, eppure quando arrivò con un altro calciatore argentino in nerazzurro –estate 1995- era lui la promessa più integrante. L’altro era solo un generoso cursore: Javier Adelmar Zanetti. Dopo appena due mesi a Milano, finì al Real Saragozza. Zanetti è ancora lì.

61.   RICARDO OLIVEIRA
Particolarmente sbagliato come erede di Andriy Shevchenko. Gli è stato impossibile rimpiazzare sulla prima linea del Milan di Carlo Ancelotti l’attaccante ucraino, passato al Chelsea al culmine della carriera. Il centravanti brasiliano aveva vissuto delle buone stagioni al Betis Siviglia, senza essere un fenomeno: 3 gol nell’unico campionato in Italia.

62.   NIKOS ANASTOPOULOS
In Grecia aveva vinto quattro volte la classifica cannonieri della massima serie ellenica, al centro dell’attacco dell’Olympiacos Pireo. Nel 1987 l’Avellino sborsò 500 milioni di lire per il suo cartellino, tuttavia in Irpinia non si ambientò mai e in campionato rimase con le polveri bagnate non segnando neppure una rete.

63.   MICHAEL REIZIGER
Punto di forza dell’Ajax di Louis Van Gaal, bidone nel Milan nonostante lo avesse voluto Fabio Capello in persona, convinto che potesse essere l’elemento giusto per sostituire il suo pupillo Christian Panucci rimasto nelle file del Real Madrid e invece rimase in rossonero per una sola stagione e 10 impalpabili partite in campionato.

64.   VRATISLAV GRESKO
Fra i migliori dell’Europeo Under 21 del 2000, Marco Tardelli convinse Moratti ad assicurarselo per ben 14 miliardi, ma in nerazzurro subirà anche lui la maledizione di Roberto Carlos, finendo tra gli imputati del mancato scudetto 2002 dopo l’errore su Karel Poborsky. Dopo sei mesi a Parma, ridimensionato per sempre.

65.   HERBERT WAAS
Aveva vissuto il suo momento d’oro nella prima metà degli anni 80 col Bayer Leverkusen, cinque campionati in doppia cifra ed infine la vittoria della Uefa, oltre all’esordio in Nazionale. E’ in pieno declino quando nel 1990 arriva a Bologna. La stagione precedente, tre misere presenze a Leverkusen.

66.   DES WALKER
Nel 1992 Sven-Göran Eriksson puntò sul difensore della Nazionale Inglese per puntellare la difesa della Samp. Il Mondiale del 1990 lo aveva consacrato fra i migliori centrali del panorama internazionale, ma a Genova sembrò la brutta copia di sé stesso, lento e impacciato. Dopo una stagione rimpatriò.

67.   WILLIAM PRUNIER
Già capitano dell’Auxerre, dove era cresciuto con Basile Boli ed Eric Cantona (che lo vorrà al Manchester United). In Francia non ha mai deluso, ma fuori dai confini infila una figuraccia dietro l’altra. Nel Napoli si ritrova subito scavalcato da Mirko Conte e poi travolto da Abel Balbo (tripletta).

68.   REYNALD PEDROS
Il suo piede sinistro lo aveva fatto arrivare dal Nantes al Marsiglia e alla Nazionale. Autentico oggetto misterioso in Italia, nel 1997 tra Parma e Napoli non riesce a mettere insieme dieci presenze e ritorna in prestito nell’Esagono. Dopo una stagione da riserva di lusso ne Lione torna, sempre inutilmente, a Parma nella stagione 1998-99.

69.   OSCAR ALFREDO RUGGERI
Con il River Plate aveva vinto il campionato argentino e si era laureato campione del Sudamerica e del Mondo con l’Argentina. Uno dei difensori centrali migliori della sua generazione. Ma la parentesi vissuta ad Ancona nel 1992 rimane sicuramente il momento peggiore della sua altalenante carriera agonistica.

70.   JAVIER PORTILLO
Annunciato come l’erede di Raúl González Blanco, a Firenze comincia a conoscere i suoi limiti. Cresciuto nel vivaio del Real, nell’estate 2004 arriva alla Fiorentina. Neppure il tempo di ambientarsi che nel gennaio 2005 fa di nuovo le valigie per tornare con la coda tra le gambe a Madrid. Riesce comunque  a segnare n bel gol su punizione al Chievo Verona.





71.   FRANCIS SEVEREYNS
Nell’estate 1988 il problema da risolvere in casa Anconetani era il gol. Il Pisa arrivava da una salvezza stentata a causa della scarsa vena realizzativa. Per una salvezza tranquilla bastava un bomber di razza. Doveva esserlo Severeyns, fromboliere rivelazione dell’Anversa, che invece non realizzò neppure una rete. Il Pisa retrocesse. 

72.   ZÉ ELIAS
E’ il fratello maggiore dell’attuale portiere del Torino Rubinho e negli anni Novanta veniva indicato come l’erede di Dunga, ma con maggiori qualità tecniche. In Italia ha vestito le casacche di Inter, Bologna e Genoa, andando a scemare nel rendimento che era cominciato a declinare proprio con il passaggio all’Inter nel 1997.

73.   JENS LEHMANN
Il Milan cercava un sostituto di Sebastiano Rossi e nel 1998 si rivolse all’allora portiere dello Schalke 04, che nel 1997 aveva strappato all’Inter la Coppa Uefa. Un incubo. Nel gennaio 1999, pur di ritornare in fretta a casa, accetta addirittura gli eterni rivali del Dortmund. Nervoso e insicuro, crolla sotto le pallonate di Batistuta.

74.   JEREMIE BRECHET
Il difensore mancino transalpino prometteva bene. Con il Lione aveva sgambettato l’Inter in Champions, con l’Under 21 francese era arrivato a giocarsi la finale dell’Europeo. Oltre a coprire la fascia sinistra, era in grado di giocare al centro. A Milano infila una papera dietro l’altra e viene falciato dalla maledizione di Roberto Carlos.

75.   GONZALO SORONDO
La leggenda vuole che dopo averlo visto annullare Romario al centro della difesa dell’Uruguay, l’Inter lo avesse strappato alla concorrenza del Real Madrid, pagando per il cartellino uno sproposito: 18 miliardi delle vecchie lire, una parte dei quali però servì poi per “allungare” il contratto di Alvaro Recoba, seguito dallo stesso agente.

76.   ALEXANDR ZAVAROV
Grazie alla Perestrojka voluta da Gorbaciov, nel 1988 il vicecampione d’Europa Zavarov è il primo calciatore dell’Unione Sovietica a giocare in Serie A. La Juventus è alla disperata ricerca di un erede di Platini e l’ucraino è il numero 10 emergente del calcio europeo. Ancora una volta non basta l’esperienza per non indurre all’errore Giampiero Boniperti.

77.   THEODOROS ZAGORAKIS
Anche un titolo continentale puo’ essere fumo negli occhi. Il fallimento a Bologna del capitano della Grecia Campione d’Europa 2004 poteva forse essere previsto, guardando la carta di identità: non si diventa campioni alla soglia dei trentatré anni. Sotto la guida di Carletto Mazzone, Zagorakis non seppe evitare la retrocessione.

78.   STEPHANE DALMAT
Uno dei tanti Zidane mancati. Nel 2001 l’Inter si fa ammaliare dalle sue indubbie qualità e nel suo passaggio dal Paris Saint-Germain a Milano inserisce la Bufala Vampeta. Dalmat conferma di avere colpi al di sopra della media, segnando pochi gol in campionato (3) ma tutti spettacolari. Il fisico e la testa però non erano quelli di ZIdane.

79.   JUAN PABLO SORIN
Nel 1995 la Juventus sembrava avesse messo le mani sul difensore più promettente del Sudamerica. Campione del Mondo Under 20 con l’Argentina nel ruolo di libero, sapeva disimpegnarsi sulla fascia sinistra. Ma Lippi lo bocciò senza appello e non andò meglio nel 2002 quando tornò in Italia per giocare con la Lazio.

80.   CIRIACO SFORZA
All’Inter lo vuole il suo mentore Roy Hodgson, con lui nella Nazionale Elvetica. Di origini avellinesi, come era successo a Vincenzo Scifo trova molte difficoltà ad impadronirsi del centrocampo nerazzurro; anzi, non ci riesce proprio. Finisce in panchina e dopo una sola stagione torna in Germania da dove era arrivato.

81.   CHRISTIAN ZIEGE
Nel 1997 arriva a Milano con una solida carriera costruita nel Bayern Monaco e nella Germania Campione d’Europa. All’Europeo 1996 aveva fatto vedere al Continente di essere in grado di coprire l’intero out sinistro e invece al Milan ha vinto uno scudetto da riserva, piangendo come un bimbo dopo un’espulsione. 

82.   FRANÇOIS OMAM-BIYIK
In Italia aveva segnato il gol più importante della carriera, nel 1990, nella partita inaugurale dei Mondiali: la rete decisiva con l’Argentina Campione del Mondo di Maradona. Quando ci torna nel gennaio 1998 per vestire i colori della Sampdoria è ormai a fine carriera e in sei mesi gioca sei spezzoni di partita.

83.   LUVANOR Donizete Borges
Se possibile ha deluso più di Pedrinho, soprattutto in zona gol: 3 reti in tre stagioni (due delle quali in Serie B). All’esordio aveva illuso il tecnico Gianni Di Marzio e la stampa che lo aveva pomposamente battezato “l’erede di Zico”. Di Marzio si dimetterà, il Catanzaro retrocederà e Luvanor diventerà un Bidone storico.

84.   PEDRINHO Luis Vincençote
Nel 1983, per il Catania neopromosso, il fluidificante brasiliano doveva essere quello che vent’anni più tardi si rivelerà il peruviano Juan Manuel Vargas. Al contrario, non poté che accompagnare gli etnei in Serie B, segnalandosi più che per le chiusure per i gol fatti (10 in tre stagioni), in un’epoca dove i difensori, Cabrini escluso, dovevano arretrare.

85.   MATIAS LEQUI
Doveva essere il Walter Adrián Samuel biancazzurro e invece si rivelò terribilmente lento per il calcio italiano. Non arrivò nemmeno a giocare dieci partite in campionato. Eppure era reduce da un buon campionato nell’Atlético Madrid e nell’estate 2004 sembrava l’acquisto tatticamente più intelligente del primo mercato di Claudio Lotito.

86.   SERGIO FORTUNATO
In Italia ha indubbiamente incontrato maggiore fortuna come agente (Mauro Germán Camoranesi) che non come calciatore. Anzi, la sua attività di procuratore ha permesso ai più di ricordarlo come calciatore. Forse lui stesso aveva tentato di dimenticare la mediocre parentesi perugina (2 gol), dove era stato chiamato per sostituire Paolo Rossi.

87.   JOSÉ MARI Romero Poyon
Vai a fidarti degli allenatori. L’attaccante spagnolo arrivò al Milan nel dicembre 1999 per qualcosa come 40 miliardi (!) di lire, garantito da Arrigo Sacchi, che lo aveva allenato all’Atlético Madrid. Alberto Zaccheroni però non condividerà l’idea del suo conterraneo. In tre anni rossoneri segnerà la miseria di 5 gol.

88.   José Vitor ROQUE JÚNIOR
Misteri del calcio. Uomo chiave nella difesa a tre del Brasile Campione del Mondo di Felipe Scolari, mai adeguato nella difesa a tre del Milan fra il 2000 e il 2003 nonostante la presenza di un maestro italiano della “Tre” come Zaccheroni. E ancora peggio ha fatto a Siena nella seconda parte della stagione 2003-2004.

89.   WIM JONK
Con Bergkamp arriva anche il regista dell’Ajax. L’idea è quella di ripetere l’accoppiata vincente Matthäus-Brehme, ma con Dennis naufraga anche il geometrico olandese, troppo lento e compassato per il nostro calcio. Conferma, pur non essendo decisivo in campionato, il fiuto del gol. Come Bergkamp, meglio in Coppa Uefa.

90.   RIVALDO Vítor Borba Ferreira
L’Extraterrestre in Italia si scoprì terribilmente umano. Ci aveva messo la faccia Ariedo Braida, volato di persona oltre Oceano per chiudere il trasferimento dell’ex Pallone d’Oro e Campione del Mondo in carica. Fra le cose più belle in Serie A, un gol di tacco al suo esordio a Modena: rete annullata, quasi un segno del destino avverso.

91.   HANSI MÜLLER
Come il nazionale belga Coeck rimase “vittima” della ressa intorno alla maglia numero 10 dell’Inter, ma il peccato originale del Campione d’Europa Müller fu quello di essere stato preferito a Michel Platini, lasciato andare ad aprire un ciclo irripetibile alla Juventus per pochi spiccioli, proprio mentre Müller riparava sul Lago di Como.

92.   LUDO COECK
Stella di prima grandezza con l’Anderlecht, in patria e in Europa, nell’estate 1983 raggiunge l’Inter dove diventa il capro espiatorio di una delle più incredibili confusioni tattiche. Si ritrovarono in tre lui, Evaristo Beccalossi e il tedesco Müller, per un solo ruolo: il trequartista. E per giunta tutti e tre mancini. Un infortunio alla caviglia fece il resto.

93.   IAN RUSH
Anche i grandi hanno preso cantonate epocali: Boniperti in persona decise che per la Juve i centravanti giusto fosse il gallese Ian Rush piuttosto che l’inglese Gary Lineker. Forse venne tradito dal cuore, che lo rimandava all’amico John Charles. Rush rimase a Torino per un campionato, segnando 7 gol e senza imparare mai l’italiano.

94.   SOCRATES Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira
Era il capitano del Brasile eliminato dall’Italia di Enzo Bearzot al Mundial spagnolo. Nell’82 e ’83 era stato eletto miglior calciatore sudamericano. Capitano e “padrone” del Corinthians, nel 1984 a Firenze non riuscì a imporsi nello spogliatoio, resistendo una sola stagione, dove emerse soprattutto la sua lentezza e l’amore per birra e tabacco, più che i colpi di tacco.

95.   ROBERTO FABIAN AYALA
Mentre in Argentina giuravano che era l’erede di Passarella, in Italia veniva usato dal parma come merce di scambio col Napoli per arrivare a Fabio Cannavaro. Senza fare sfracelli, a Napoli riuscì a tenersi a galla fino a convincere il Milan a spendere 18 miliardi di lire. Sovrastato da Ronaldo nel derby.

96.   LAURENT BLANC
Trequartista agli esordi, al centro della difesa ha scritto le pagine più gloriose del calcio francese ma non ha convinto in Italia. Libero d’altri tempi, elegante ma troppo lento. La sua classe aiutò il Napoli di Ranieri, meno l’Inter di Moratti, al quale era stato raccomandato da Luciano Moggi.

97.   EDMUNDO  Alves de Souza Neto
Nell’esperienza alla Fiorentina ci fu un clamoroso errore di gestione: dalla panchina con Alberto Malesani alla clausola che gli permetterà di lasciare il Trap, in corsa in quel momento per lo scudetto, per sfilare al Carnevale di Rio. Quando nel gennaio 2001 accetta il Napoli, è il fisico a tradirlo.

98.   DENNIS BERGKAMP
Doveva essere il Marco Van Basten nerazzurro. Quando nel 1993 l’Inter lo preleva dall’Ajax è l’attaccante emergente del calcio continentale, da due anni sul podio del Pallone d’Oro. Costa 25 miliardi di lire, ma nessuno si scandalizza. In due campionati con l’Inter non va mai in doppia cifra e rischia seriamente la retrocessione.

99.   FRANÇOIS ZAHOUI
E’ il primo calciatore africano della storia ad aver esordito in Serie A: con l’Ascoli, il 28 ottobre 1981. Suo malgrado finì per diventare una macchietta. Troppo giovane e troppo prematuro in un calcio, quello italiano, che ancora oggi fatica ad accettare la mentalità del calciatore africano. In due stagioni solo 11 presenze. 

100. ADRIANO Leite Ribeiro
      Difficile immaginare il motivo che ha spinto la Roma a riportare in Italia l’ex Imperatore dell’Inter la scorsa estate. Tutti gli addetti ai lavori sapevano che il campionato vinto col Flamengo nel 2009 e il titolo di capocannoniere della A brasiliana non avevano cancellato i problemi extra-campo che lo avevano allontanato da Milano e dall’Italia.

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