martedì 6 settembre 2011

Brasile Pentacampeão Under 20 - La classifica finale e le pagelle della FIFA U-20 World Cup Colombia 2011 - Le Magnifiche Otto


XVIII Copa Mundial Sub-20 de la FIFA
2011 FIFA U-20 World Cup
COLOMBIA 2011
COLOMBIA 2011
[29 luglio – 20 agosto] 

Squadra campione: BRASILE (5° titolo)
2° posto: PORTOGALLO 
3° posto: MESSICO
4° posto: FRANCIA

Partecipanti: 24
(6 UEFA – 5 CONMEBOL – 4 AFC – 4 CAF – 4 CONCACAF – 1 OFC

Stadi: 8 (Estadio Nemesio Camacho 'El Campín', Bogotá - 
Estadio Hernán Ramírez Villegas, Pereira - 
Estadio Atanasio Girardot, Medellín - 
Estadio Pascual Guerrero, Cali -  
Estadio Jaime Morón León, Cartagena - 
Estadio Metropolitano Roberto Meléndez, Barranquilla - 
Estadio Palogrande, Manizales - Estadio Centenario, Armenia)

Partite disputate: 52
Gol fatti: 132 (2.54 per match) 
Miglior attacco: Brasile (18 reti) 

Premi: 

GOLDEN BALL [Miglior Giocatore]
Bronze BallJorge Enríquez García (Messico)

GOLDEN BOOT [Capocannoniere]
Henrique Almeida Caixeta Nascentes (Brasile), 5 reti 
Silver Boot: Álvaro Vázquez García (Spagna), 5 reti 
Bronze Boot
: Alexandre Lacazette (Francia), 5 reti

GOLDEN GLOVE [Miglior Portiere]:
Mika Michael Simões Domingues (Portogallo)

FAIR PLAY AWARD: Nigeria



1° BRASILE [CAMPIONE]
Bilancio: 5 vittorie - 2 pareggi - 0 sconfitte; Gol Fatti = 18 / Gol Subiti = 5
voto 8
Missione compiuta. La Jovem Seleçao riscatta in parte l'interlocutoria 
Copa América 2011 dei "fratelli maggiori", confusamente schierati da Mano Menezes, e centra il quinto titolo Under 20 al diciassettesimo tentativo, incalzando ancor più da vicino gli acerrimi nemici argentini (a quota sei). 
I verdeoro si sono dimostrati più forti anche delle assenze, sopperendo con solerzia all'inevitabile "rapimento" in Prima Squadra per Lucas e Neymar, mattatore indiscusso nel Pre-Olimpico Sub-20 dell'inverno scorso. 
Una buona fetta di merito va concessa stavolta al treinador; apparentemente in alto mare alla vigilia riguardo l'organizzazione corale della manovra, 
Ney Franco ha permesso ai suoi ragazzi di recitare su copioni discordi, improvvisando situazioni tattiche duttili anche nel corso delle stesse partite. Dopo aver plasmato in Perú la squadra sui 'lateral' del Santos
Danilo Alex Sandro (entrambi acquistati dal Porto a metà luglio),
stavolta ha sfruttato con sapienza la rinomata capacità del primo di assurgere al ruolo di mezz'ala destra dinamica, concedendo fiducia sulla banda mancina Gabriel Silva e modificando spesso l'iniziale assetto difensivo 
a quattro, con l'avanzata degli esterni nello scacchiere e il contemporaneo abbassamento di Casemiro nel cuore della retroguardia, scortato dagli affidabili centrali Bruno Uvini e Juan (la cui esuberanza atletica è preziosa anche sulla fascia 'izquierda': occhio a Napoli ed Inter...). In quest'ottica, 
il Brasile ha saputo interpretare svariati moduli in corso d'opera, plasmando 
il consueto 4-2-2-2 (l'intermittente Coutinho a ridosso delle due punte, disegno cangiante alla bisogna in uno pseudo-rombo dagli spigoli smussati 
o in 4-2-1-3, con un médio atacante posto qualche passo dietro due ponteiros e il centroavante, abili a cercare la profondità) ora in 4-3-3 (l'ottimo Oscar 
a sacrificarsi da volante sinistro) ed ora in 4-2-3-1, a seconda delle necessità 
da fronteggiare, e non disdegnando come detto un'inusitata difesa a tre. 
Tutto ciò è stato reso possibile dagli intoccabili perni in mediana, Fernando 
(lesto ruba-palloni di rara efficacia e discreto tocco nel rilancio dell'azione) 
e il succitato Casemiro, il quale ha confermato le doti che gli sono valse l'interesse di mezza Europa, Inter e Roma su tutti: mediano completo e dotato nell'anticipo, solido nei contrasti e difficilmente superabile nel gioco aereo, ha però sofferto quando è stato costretto ad allargarsi sulla destra per dar respiro all'impianto tattico, nonostante le sensibili migliorie riscontrate in fase di costruzione (dove deve comunque introdurre una maggior varietà di soluzioni tecniche; insomma, chi sta pensando a lui per puntare su un regista convenzionale potrebbe incorrere in spiacevoli e costosissime sorprese). 
Il prospetto del São Paulo è un elemento dal carisma innato, con ampi margini di perfezionamento soprattutto per quanto concerne la velocità nelle verticalizzazioni e il tempismo negli inserimenti senza palla; per contro, 
le cifre paventate sul suo cartellino appaiono francamente esagerate... 
L'apertura delle danze nel Gruppo E aveva destato  molte preoccupazioni all'immancabile e appassionata 'torcida organizada' sugli spalti, con una squadra troppo compassata in rapporto alla verve dell'Egitto (1-1) ed in sofferenza per lunghi tratti del match, nonostante il vantaggio firmato 
di testa da Danilo sugli sviluppi di un calcio d'angolo. La musica è cambiata decisamente con l'Austria, anche in virtù delle scelte operate dall'allenatore; fuori un abulico Alan Patrick (prelevato dallo Shakhtar Donetsk il 24 giugno, per una cifra non lontana dai quattro milioni di euro) e spazio dal primo minuto ad Henrique, in coppia con il neo-compagno di club Willian José da Silva. Digerito malvolentieri l'infortunio di Alex Sandro (altra novità, nella fattispecie infausta, rispetto all'esordio: il suo torneo è finito dopo appena tredici minuti, con la definitiva promozione a titolare di Gabriel Silva), 
il Brasile ha sciorinato grandi idee per tutta la durata dell'incontro, ed è stato proprio il "Golden Ball" (sesto a centrare il double Miglior Giocatore + Capocannoniere, insieme al connazionale Geovani nel 1983, gli argentini Javier Saviola nel 2001, Lionel Messi nel 2005 e Sergio Aguero nel 2007, 
e il ghanese Dominic Adiyiah nel 2009) nativo della capitale a segnalarsi come uomo più pericoloso, sfiorando il palo di testa per poi chiamare il portiere Radlinger agli straordinari qualche istante più in là. Buona prova anche 
per Coutinho, che gli ha fornito un comodo assist al 37' (duecentesimo gol brasiliano nella storia della competizione) prima di trasformare il penalty concesso dall'arbitro statunitense Mark Geiger (lo stesso della finale a Bogotá) per l'atterramento di Danilo su sontuoso invito di Oscar. L'azione del conclusivo 3-0 è stata un po' la summa ideale dei calciatori che si sono maggiormente distinti nel corso della gara: ennesimo appoggio morbido del centrocampista offensivo dei 'Colorados' ad innescare l'interista, tacco per l'accorrente Casemiro e filtrante di questi a favore di Willian, alfine sbloccatosi al 63'. Un'insolita confusione dalla panchina, invece, è serpeggiata durante l'ultimo impegno della fase a gironi, con i verdeoro chiamati a bissare un punteggio rotondo ai danni di Panamá per evitare il pericoloso incrocio fratricida con l'Argentina. La prematura uscita dal campo di Fernando ha scombussolato parecchio gli equilibri sudamericani, sbilanciati a dir poco con l'ingresso del trequartista Dudu e registratisi solo una ventina di minuti più tardi, sacrificando una punta (Willian) per innestare 'o zagueiro' Galhardo. 
Se non altro, il debutto del giovane talento in forza al Cruzeiro (il miglior "dodicesimo uomo" della rassegna) ha permesso al mister di scoprire una validissima opzione, rivelatasi addirittura decisiva in taluni frangenti. Archiviata la prima frazione sotto il segno di Henrique (gol del vantaggio, ispirato da Oscar, e assist per Coutinho nel recupero), Dudu è salito in cattedra alla ripresa delle ostilità, dando il la all'occasione che ha permesso al fantasista nerazzurro di firmare una doppietta in bello stile (stop di interno coscia e finta a disorientare Cummings ed Eric Davis, per poi infilare il pallone di giustezza sul secondo palo al 52'), e sancendo con un facile diagonale la vittoria per 4-0 nelle battute conclusive. La proverbiale sufficienza dei ghirigori brasiliani 
è stata messa ancor più in crisi negli ottavi di finale, sulla carta molto abbordabili ed invero conclusi con un risultato che non traduce fedelmente 
le ambasce patite (altro 3-0). I guizzanti e brevilinei attaccanti dell'Arabia Saudita hanno creato non pochi grattacapi alla Seleçao, talvolta spaccata colpevolmente in due e persa in un modulo un po' pasticciato nei primi quarantacinque minuti. Ney Franco è stato però abile a porre rimedio, richiamando uno spaesato Casemiro per giocarsi la carta Willian e raccogliere subito i frutti delle sue scelte: velo del subentrato a favorire la fuga vincente dello scatenato Henrique (46') su lancio dalle retrovie di Fernando, e valido trattamento di palla dello stesso alagoano per il rimorchio in corsa di Gabriel Silva (raddoppio al 69'). Il timbro finale sulla pratica è arrivato ancora dalla panchina, con Dudu a rilevare l'infortunato Henrique (botta al braccio sinistro) per poi lanciarsi in solitaria nel corridoio tracciato dall'ennesima invenzione di Oscar (86'). Spettacolo di ben altro spessore nei quarti disputati 
a Pereira, in una partita che ha dato agli astanti la sensazione di assistere alla vera finale anticipata: Brasile-Spagna 2-2 dts. Il coach sudamericano si è sbizzarrito ancora una volta a ruotare vorticosamente le pedine sul rettangolo verde, lasciando l'iniziativa al fitto possesso palla iberico per dedicarsi alle ripartenze e concedere agli avversari solo tiri dalla lunga distanza. Nonostante il vantaggio trovato alla mezz'ora da Willian, celere nell'appoggiare in rete 
la sfera rigettata dalla traversa su conclusione di Henrique, gli europei hanno palesato maggior fluidità complessiva ed un'indubbia superiorità sulle fasce, con Gabriel Silva troppo timido a fronte delle sgroppate del dirimpettaio Hugo Mallo e un Danilo impacciato nel duello col barcelonista Carles Planas; non a caso, le reti della doppia remontada intrapresa dalle Furie Rosse sono arrivate sui loro cross dalle bande laterali. Le capacità di lettura di Ney Franco si son rivelate una volta in più determinanti: con sagace gestione delle risorse a disposizione, il CT ha deciso di allargare il gioco, rinunciando a Willian ed allo spento Coutinho per volare sulle ali di Negueba e Dudu e apportare correttivi ad una manovra troppo stagnante nelle vie centrali. I fatti gli hanno dato ancora ragione, alla luce dello splendido uno-due Henrique-Dudu che ha permesso ai verdeoro di riportarsi in vantaggio nei tempi supplementari (100'), con l'esterno offensivo del Flamengo dal canto suo a tenere in costante apprensione la terza linea spagnola. Il giusto verdetto di parità è stato 
poi ribaltato nella lotteria dagli undici metri, con il reattivo Gabriel ad ipnotizzare Jordi Amat e Álvaro Vázquez (quest'ultimo di... piede) e regalare ai compagni una qualificazione in bilico sino alla fine. Il fondamentale apporto  delle "seconde linee" non ha lesinato il suo influsso benefico neanche nel rendez-vous col Messico, castigato ben oltre i propri limiti (2-0): ancora Dudu e Negueba a rilevare Coutinho e Willian, ed ulteriori rifornimenti dagli esterni per uno spietato Henrique, implacabile doppiettista tra l'80' e l'84' nel medesimo scenario dell'Estadio Hernán Ramírez Villegas. Una pirotecnica altalena d'emozioni ha infine completato la cavalcata dei verdeoro, posti 
di fronte ai "cugini" lusitani. A onor del vero, le finaliste sono arrivate all'appuntamento in precarie condizioni generali, un po' cotte sul piano fisico 
e nervoso, conseguenza inevitabile di tre settimane vissute ad alta intensità agonistica; il rocambolesco andamento della contesa è scaturito più che altro da strappi isolati dei singoli e i continui ribaltamenti di fronte, più che da una reciproca lucidità di gioco. Sfida incamminatasi sul filo sottile della casualità sin dalle prime schermaglie, con il punteggio sbloccato da un calcio di punizione senza troppe pretese battuto da Oscar poco più avanti del cerchio di centrocampo al quinto minuto, solo sfiorato dalla testa di Sérgio Oliveira e insaccatosi beffardamente alle spalle di Mika. Il vantaggio è durato appena duecentoquaranta secondi, con la lentezza in allungo di Bruno Uvini 
e Juan messa alla berlina da Nélson Oliveira, abbinata ad un Danilo incapace di anticipare Alex a centro area ed un Gabriel Silva poco avveduto nell'accorciare in recupero. Quel coraggio ai limiti dell'incoscienza del selezionatore nativo di Vargem Alegre ha rischiato di compromettere la gara all'alba della seconda frazione, con l'ala carioca mandata in campo troppo frettolosamente insieme al vascaino Allan per dar fiato al terzino del Palmeiras e Willian, in giornata decisamente negativa, poco adatto a far salire la squadra e dettare i passaggi lanciandosi negli spazi come di consueto, e per giunta non assistito dalla buona sorte al 10', quando ha provato a correggere in acrobazia 
un disimpegno errato di Nuno Reis, con salvataggio sulla linea (oltre?...) dell'estremo difensore avversario. L'ennesima trasfigurazione tattica porta 
i sudamericani a passare dal rombo al 4-2-3-1: Danilo avanzato in mediana (forse il ruolo in cui rende di più; troppe pause in ambito difensivo e scarsa attenzione nelle diagonali) con Fernando e rimpiazzato sulla fascia da Allan, Casemiro a formare un'inedita coppia centrale al fianco di Bruno Uvini 
e Juan dirottato sull'out mancino, in palese difficoltà considerata la mole fisica. Nélson Oliveira ha sfruttato da par suo tale desuetudine nel canovaccio verdeoro al 59', esibendosi in un caparbio contropiede sulla sua destra per poi accentrarsi ed incrociare il tiro che ha colto impreparato Gabriel, forse alla prima papera grave del suo convincente torneo (il Milan è alla finestra). 
Ma il Portogallo non ha fatto ancora i conti con Dudu, oggetto del desiderio per la Dynamo Kyiv... Subentrato al balbettante Coutinho, dopo appena 
un quarto d'ora dall'ingresso in campo manda al bar il genoano Pelé con una finta di tacco e mette al centro, laddove Mika decide di imitare il suo collega non trattenendo la sfera e spalancando la via della porta ad Oscar. 
Il vertiginoso innalzamento dei ritmi si attenua poi nei supplementari, con le contendenti ormai sfinite ed apparentemente propense a giocarsela ai rigori; ma il piede caldo da Nação Vermelha riesce a pennellare un'altra parabola velenosa al 111', un tiro-cross da posizione defilata che va a morire placido 
sul secondo palo, regalando una tripletta al 'melhor hombre del partido
(quinta hat-trick in una finale di un torneo organizzato dalla FIFA, 
dopo l'inglese Geoffrey Hurst nel 1966, i connazionali Ronaldo e Romario nella Confederations Cup 1997, e la nordcoreana Kim Song-Hui 
al Mondiale Under 20 Femminile - Russia 2006) e il trionfo meritato 
in un'edizione che certo non verrà registrata negli annali 
tra quelle più spettacolari di sempre (highlights della finale).


2° PORTOGALLO [vice-campione]
Bilancio: 4 vittorie - 2 pareggi - 1 sconfitta; Gol Fatti = 7 / Gol Subiti = 3
voto 7,5
Sbarcati in Sudamerica a fari spenti, i ragazzi di Ilídio Vale hanno sorpreso 
la maggior parte degli addetti ai lavori, raggiungendo un risultato insperato appena qualche settimana fa. Se è vero che i pronostici della vigilia ipotizzavano Spagna e Francia come cavalli su cui puntare per il Vecchio Continente, i pragmatici lusitani si sono spinti probabilmente oltre le barriere del proprio potenziale, confermando una tradizione favorevole nella rassegna iridata, che li vede ancor oggi unici rappresentanti europei ad aver alzato 
la coppa in più di un'occasione (1989 e 1991). Certo, a sfogliare la rosa dei ventuno virgulti rossoverdi non s'intravedono nuovi Figo, Rui Costa 
o João Pinto, alfieri della Geração de Ouro di un ventennio fa, ma sarebbe irriguardoso non sottolineare i pregi di una compagine arcigna, tosta e tignosa in fase di non possesso ed insolitamente concreta in rapporto all'esigua 
mole di gioco proposta, quasi tutta adagiata sulle spalle dell'unica punta
Nelson Oliveira. 'O Ibrahimovic português' è stato un po' la spina nel fianco di tutte le difese avversarie, un costante punto di riferimento nel 4-2-3-1 
tanto criticato dai mass-media agli inizi, quando si è imputata al commissario tecnico l'eccessiva prudenza, che si sarebbe potuta rivelare un giogo soffocante nel caso di punteggi sfavorevoli da capovolgere. Il testardo Vale ha proseguito imperterrito sulla sua strada, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe 
nella conferenza stampa pre-atto conclusivo contro il favorito Brasile: "Smettiamola di pensare sempre ai campioni del passato. Non siamo una Generazione d'Oro? Beh, noi siamo la Nazionale del Coraggio, ed io ne sono fiero; l'unica stella di questa squadra è il Collettivo. Crediamo nel lavoro, nell'organizzazione complessiva e nella cura dei piccoli dettagli, i fronzoli non c'interessano granché". Un manifesto programmatico difficile da biasimare col senno di poi, probabilmente un po' dissonante rispetto al palcoscenico in cui è stato adoperato; pur rispettando gli indubbi sforzi tattici, ci sarebbe da arguire che il calcio ogni tanto possa anche degnarsi di andare oltre il dogma del risultato a tutti i costi, specie a livello giovanile... Per ironia della sorte, l'unica battuta d'arresto nel percorso lusitano è arrivata a seguito della prestazione più spregiudicata, il folle ed invero caotico batti e ribatti di emozioni messo in piedi con i verdeoro, laddove son stati traditi un po' 
dalla pressione dell'evento due baluardi nelle precedenti sei partite, 
il portiere Mika e il centrale difensivo Nuno Reis (curiosi natali elvetici per entrambi). Il capitano della 'Selecção das Quinas', formatosi nello Sporting Lisbona e dalla scorsa estate in prestito al Cercle Brugge (Belgio), è stato 
il 'líder máximo' di una retroguardia sino a quel momento impenetrabile, affiancato dal gigante Roderick Miranda e scortato sui lati dagli infaticabili stantuffi Cedric Soares e Mario Ruiaffare a costo zero scovato nella Liga de Honra dal DS del Gubbio Stefano Giammarioli, già richiesto dal Parma 
e a quanto pare dal vorace Paris Saint-Germain nelle ultime ore. 
I continui raddoppi in marcatura e l'utilizzo razionale delle distanze tra i membri del reparto hanno permesso all'estremo difensore recentemente accasatosi al Benfica di mantenere la propria porta inviolata per ben 575 minuti (!), record assoluto strappato al cileno Cristopher Toselli, che si spinse sino ai 492 minuti nel 2007 in Canada, rendendo possibile un altrettanto sorprendente podio dei vari Alexis Sanchez, Arturo Vidal, Mauricio Isla e spingendo a sua volta più in là l'asticella fissata dal brasiliano Cláudio Taffarel (484') nel 1985. In questo granitico schieramento, spesso tendente al 4-1-4-1, gli "italiani" Danilo Pereira e Pelé (in finale costretto ad adattarsi da terzino destro al 57' per l'infortunio di Cedric, e suo malgrado impotente nel tamponare il guizzo decisivo di Dudu), hanno eretto una diga di muscoli 
e centimetri a tratti insormontabile, con la regia delle operazioni ad appannaggio quasi esclusivo dell'illuminante Sergio Oliveira, le cui visioni oniriche sono state spesso "normalizzate" nelle intenzioni e sacrificate sull'altare della concretezza predicata dall'allenatore, ma che allo stesso tempo danno adito a rosee previsioni su un futuro di gran livello. L'incombenza 
di lasciar meno isolato in avanti Nelson Oliveira è spettata in rotazione a Lassana Camará (fantasista dal baricentro basso, limitato dalle precarie condizioni fisiche), Julio Alves (fratello di quel Bruno attualmente nelle file dello Zenit San Pietroburgo, un jolly efficace nell'interpretare più ruoli in mediana) e le due ali mancine Alex e Rui Caetano (sprazzi incoraggianti malgrado l'imperdonabile errore che ha commesso negli extra-time, con il punteggio ancora inchiodato al pareggio, quando ha sciupato una ghiotta ripartenza con un fiacco pallonetto, inevitabilmente perdutosi tra le braccia 
del brasiliano Gabriel)pochi scampoli, invece, per i prestanti Amidio Baldé e Rafael Lopes. In maniera speculare a ciò che avvenne nella vittoriosa trasferta saudita di ventidue primavere fa, il Portogallo è venuto fuori alla distanza, dando l'impressione di ottenere il massimo risultato col minimo sindacale nella Prima Fase per poi aumentare i giri del proprio motore una volta trovatosi di fronte a formazioni più ostiche e, sulla carta, superiori. 
E' bastato, infatti, un esiguo bottino di tre realizzazioni in quattro match 
per raggiungere i quarti di finale, con il solo Nélson Oliveira a tenere 
in apprensione i pacchetti arretrati delle squadre contendenti, un po' abbandonato al suo destino ed immerso in una latente sensazione di sterilità offensiva, atavica condanna delle selezioni lusitane da tempo immemore. Come se non bastasse, l'incolore 0-0 con l'Uruguay al debutto è costato la squalifica dell'elemento più propositivo, Sergio Oliveira, espulso dal qatariota Abdulrahman Abdou nel giro di otto minuti scarsi e dopo aver colpito una traversa con una splendida punizione a giro dal limite dell'area ad inizio ripresa. I successivi impegni con Camerun e Nuova Zelanda (doppio 1-0) 
son stati indirizzati ancora una volta dal centravanti con il numero sette sulle spalle: con gli sfortunati africani ha denotato anomale doti da opportunista, involandosi sullo sciagurato tentativo di retropassaggio di Mvom 
per scavalcare in pallonetto l'uscita del portiere (19'), mentre ha sorpreso 
la terza linea degli oceanici premiando con un assist profondo l'ennesima sovrapposizione di Mario Rui (gli scambi stretti sono il suo pane, 
un po' meno i cross dal fondo), preciso nell'incrociare col mancino (31'). 
Minimo scarto anche col Guatemala, estromesso dalla competizione da un fallo ingenuo su percussione di Cedric e il susseguente penalty trasformato senza affanni dallo stesso Nélson Oliveira (7'). Il dischetto posto undici metri al di qua della porta è stato foriero di soddisfazioni anche nella sfida con l'Argentina a Cartagena, quando Michael Simões Domingues ha deciso 
di sbaragliare la concorrenza verso il 'Golden Glove' neutralizzando due conclusioni albicelesti e rivoltando come un guanto l'inerzia della lotteria, messasi in salita alla luce degli errori consecutivi di Danilo e Roderick. 
La semifinale con la Francia ha ribadito una volta in più il cinismo lusitano, accontentatosi di sei conclusioni indirizzate verso i pali difesi da Ligali (dall'altro lato, sono stati insufficienti ben diciannove tentativi) 
e il 39% di possesso della sfera, eppure estremamente redditizio sui calci piazzati: al nono minuto Danilo si è fatto perdonare la mancanza di freddezza palesata con i sudamericani, schiacciando di prepotenza il corner modellato sul secondo palo dal sinistro di Alex, una mezz'oretta prima che Nélson Oliveira ribadisse viceversa la propria infallibilità su rigore, ottenuto 
in virtù del veniale fallo di Coulibaly sullo stesso mediano parmense, 
figlio di un'infermiera della Guinea-Bissau lanciatosi dal trampolino dell'Arsenal 72 Desporto & Cultura di Mem Martins (freguesia di Sintra, 
nel distretto di Lisbona) alla tenera età di dieci anni.



3° MESSICO [eliminata in semifinale]
Bilancio: 3 vittorie - 2 pareggi - 2 sconfitte; Gol Fatti = 10 / Gol Subiti = 6
voto 7,5
Giù il sombrero ed applausi a scena aperta dinnanzi a Juan Carlos Chávez 
ed i suoi esuberanti scudieri, i quali hanno provato ad inerpicarsi sulle vette dell'Olimpo appena tre settimane dopo l'impresa casalinga dell'Under 17
Il terzo gradino del podio, raggiunto solo nella prima edizione del fu FIFA Youth Championship in Tunisia (1977), ha confermato per coloro i quali ne avessero ulteriore bisogno la crescita esponenziale del movimento Tricolor, ormai una certezza per competitività e qualità degli interpreti. A quattro mesi di distanza dal dominio incontrastato nel CONCACAF U-20 - Guatemala 2011 (undicesimo alloro continentale, ottenuto con cinque vittorie su cinque, diciotto gol fatti ed appena due subiti), l'ex centrocampista di Atlas, Puebla, Monarcas Morelia e Pachuca ha sfoderato un 3-4-3 organizzato alla perfezione, con movimenti continui volti ad accorciare l'occupazione degli spazi e soffocare gli avversari in un fazzoletto di campo, senza concedergli punti di riferimento fissi. La pietra angolare del sistema messicano va rintracciata proprio nella linea difensiva a tre elementi, cementata sulle apprezzabili doti di lettura di cui Kristian Alvarez (con il coscienzioso rincalzo Hector Acosta a farne le veci durante il turno di squalifica scontato nei quarti di finale), Nestor Araujo e il classe '92 Diego Reyes sono intrinsecamente dotati; in particolare, è stato quest'ultimo a destare un'ottima impressione, grazie al senso della posizione, la visione di gioco e la sicurezza nell'amministrare il pallone a testa alta, una destrezza non a caso sfruttata 
in talune circostanze a ridosso del centrocampo per impostare il principio dell'azione. Nel cuore del rettangolo verde, Diego De Buen e Jorge Enriquez (senza trascurare 'El Kalimba' Marvin Piñon: qualità e quantità al servizio della causa) hanno tamponato ogni eventuale falla, difettando talvolta in costruzione ma quasi mai in fase di contenimento, tanto da rendere 
'El Chaton' del Chivas uno dei dieci papabili * al premio di miglior giocatore della rassegna secondo le valutazioni (discutibili) del FIFA TSG - Technical Study Group. Sulle corsie esterne, il terzino di spinta Cesar Ibañez e ancor di più il generoso Carlos Orrantia (tecnica sopraffina e buon sincronismo 
negli inserimenti, grande spirito di abnegazione a dispetto della vocazione prettamente offensiva, una pedina senz'altro più efficiente di Saul Villalobos) 
hanno offerto sempre una valida opzione per i compagni, presidiando la propria zona di competenza con positivi riscontri in entrambe le fasi di gioco. 
Ciò che è mancato alla 'Tri' è stato forse un finalizzatore puro della manovra in mezzo a tanti trequartisti ed attaccanti di raccordo e/o laterali, un uomo capace di concretizzare la fitta trama di passaggi intessuta dai piedi buoni a disposizione, Ulises Davila su tutti; nel tridente avanzato, è stato il cardine insostituibile a supporto dei vari Taufic Guarch (prima punta atipica, 
alta eppur leggerina ed esile sul piano muscolare, capace di garantire tanto movimento e discreto palleggio, a discapito di un fiuto per il gol tutt'altro che infallibile), Alan Pulido ('La Bomba', che predilige partire defilato a sinistra per poi accentrarsi sul piede forte), l'attesissimo Erick 'El Cubo' Torres (talento innegabile, ma ci sarà ancora parecchio da limare nel suo percorso di formazione, in particolare per quanto concerne la cattiveria 
nei momenti cruciali) e la sorpresa Edson Rivera (mancino disciplinato, utilissimo nelle transizioni veloci), in una pletora di piccoli e sguscianti virtuosisti dell'arte pedatoria, talvolta però troppo fumosi nel centrare il bersaglio grosso. Molta carne al fuoco sul braciere nordamericano, ma scarso killer-instinct. Un problema svelatosi sin dalla sfida d'apertura con l'Argentina (0-1), con i fraseggi nello stretto di Davila e Pulido (protagonisti anche di un episodio da moviola: tiro secco dal limite del primo non bloccato da Andrada, ingannato dal falso rimpallo sul terreno reso viscido dalla pioggia, e tap-in del secondo annullato da un'incerta segnalazione di fuorigioco della terna arbitrale) non interpretati al meglio da Guarch e dal subentrante Torres, 
che ha dilapidato una buona opportunità per il pareggio quasi allo scadere. L'incantesimo si è rotto nel recupero della prima frazione contro la Corea 
del Nord (3-0), il cui abbozzo di catenaccio è stato punito da un clamoroso autogol sul goffo tentativo dei difensori di arginare l'azione personale del solito Davila. Violata la falange asiatica, nella ripresa il Messico ha dilagato, con l'unico graffio nel torneo per Guarch (d'autore, però: bordata dai venticinque metri scagliata sotto l'incrocio al 54') e De Buen nel recupero (altra botta, stavolta su punizione e nell'angolino basso, dopo aver preso le misure 
al 13' con una traversa). Il centravanti di origini cubane e dal nome arabo ("Taufic" = "Figlio di Dio") ha però clamorosamente ciccato il terzo appuntamento, confermando la sua vena non prolifica ed ingaggiando 
un duello a distanza con l'ottimo portiere Jack Butland, unica nota lieta dell'inguardabile kermesse britannica (ulteriore 0-0 per loro). Una sagra di errori per il dinoccolato numero nove, con un colpevole spreco delle intuizioni di Davila e Torres e un rigore calciato in malo modo al 14'. La mira non si è aggiustata granché negli ottavi con il Camerun, quando anche Pulido (palo esterno a concludere un'ottima serpentina sull'out mancino), lo stesso Torres, Enriquez ed Acosta hanno deciso di imitarlo, sciupando ghiotte possibilità e costringendo alla rimonta la squadra, per un pareggio acciuffato nel giro di due minuti (81'), su cross sventagliato dal neo-entrato Piñon e capitalizzato con una scivolata vincente di Orrantia sul palo lontano. Ai rigori, José Antonio Rodríguez è riuscito a neutralizzare la conclusione del satanasso Ohandza, spalancando ai suoi le porte del turno successivo, in cui è arrivata quella che è probabilmente la ciliegina sulla gustosa torta messicana: l'eliminazione dei lanciatissimi padroni di casa, grazie ad una prestazione autoritaria (3-1), 
per nulla influenzata dall'ambiente ostile. L'estremo difensore dei Tiburones Rojos de Veracruz (Liga de Ascenso, la seconda divisione nazionale) ha sfoderato un po' tutto il repertorio, nel bene come nel male; spavaldo nelle uscite in presa alta, si tratta di un portiere dai fondamentali tecnici non impeccabili, capace di abbinare riflessi non disprezzabili (colpi di reni a sventare sia un missile di Luis Muriel che una deviazione sotto misura di Luciano Ospina) a svarioni eclatanti (liscio al 60' per il momentaneo pareggio colombiano, quando si è lasciato sfilare in mezzo alle gambe un destro di Zapata da distanza proibitiva). Decisiva è stata soprattutto la mossa ordinata dalla panchina al 36', quando Rivera ha rilevato un indolente Pulido due minuti prima che Torres sancisse dagli undici metri il primo vantaggio. Nella ripresa, infatti, il mancino dell'Atlas Guadalajara ha incornato al 69' un corner col contagiri di Ulises Davila, mentre all'88' ha deciso di fare tutto da solo, sorprendendo dal limite dell'area un disattento Bonilla con un tiro di collo pieno, volto ad impreziosire una discesa personale sulla fascia. Niente da fare, invece, di fronte al tourbillon tattico del Brasile, messo alle corde per buona parte della gara eppure capace di rovesciarne l'inerzia con i soliti innesti di forze fresche, pescate da un roster indubbiamente più profondo, e  il maggior cinismo negli ultimi sedici metri. Il Messico ha ostentato una reazione da urlo in rapporto al vantaggio lampo francese (8' Lacazette) nella finalina per il bronzo; sugli scudi una volta in più Davila, perspicace nel girare in porta un velenoso rasoterra approcciato ingenuamente da Ligali (12') e chirurgico a dir poco dalla bandierina per agevolare la zuccata di Rivera (71'), in uno schema pressoché uguale a quello messo in atto con la Colombia. Nel mezzo (49'), l'altro specialista dei calci piazzati De Buen aveva ispirato su punizione la doppia spizzata di Reyes e Jorge Valencia, utile a smarcare l'appoggio da pochi passi di Jorge Enriquez, capitano carismatico della terza forza del torneo.

* = questa la lista: Carlos Luque (Argentina) – Henrique Almeida e Philippe Coutinho (Brasile) - James Rodríguez (Colombia) - Gueïda Fofana (Francia) - Jorge Enríquez (Messico) – Ahmed Musa (Nigeria) - Nélson Oliveira e Danilo Pereira (Portogallo) – Hugo Mallo (Spagna).


4° FRANCIA [eliminata in semifinale]
Bilancio: 4 vittorie - 0 pareggi - 3 sconfitte; Gol Fatti = 11 / Gol Subiti = 12
voto 7
Non è agevole trovare la chiave interpretativa più adatta per valutare l'avventura transalpina. Da un lato, le statistiche parlano chiaro: i 'Galletti' hanno raggiunto le semifinali per la prima volta nella loro storia, sfatando 
un antipatico tabù che li vedeva non propriamente irresistibili a questi livelli. D'altro canto, la convincente vittoria negli Europei Under 19 dell'estate scorsa (18/30 luglio 2010) lasciava presagire un posto ancor più alto in graduatoria, specie se si considera il fatto che in finale si sia arrampicato 
il Portogallo, allora eliminato nel Gruppo B da Spagna e Croazia insieme alla disastrosa Italia, e stavolta scoglio granitico su cui sono andate a cozzare 
le speranze di grandeur. Analizzando nel dettaglio queste tre settimane, 
ha suscitato qualche perplessità l'ondivaga affidabilità difensiva, soprattutto per quanto concerne la coppia centrale Kalidou Koulibaly (spiccate virtù 
nel gioco aereo - rivedibile però nella scelta di tempo per saltare -, copre discretamente la profondità con agili recuperi ma rischia troppo nei tentativi 
di anticipare l'avversario diretto: in soldoni, tutt'altro che una sicurezza) - Sébastien Faure (stopper rude ed essenziale, "british style", macchinoso negli spostamenti laterali), a disagio nell'impostazione, sistematicamente infilzata dagli scambi palla a terra degli avversari e addirittura umiliata dalle invenzioni in verticale della premiata ditta Ortega-Rodríguez e la scaltrezza dell'indemoniato Muriel nell'esordio-shock con la Colombia (1-4 il passivo). Match paradigmatico a dir poco circa il valore complessivo della rosa francese: in vantaggio al 21' con un gran sinistro dai venticinque metri improvvisato da Gilles Sunu (elegante nel liberarsi al tiro con un colpo di tacco a rientrare), prima di arrendersi alla furia sudamericana e cedere di schianto 
in difesa i Blues hanno messo in soggezione i padroni di casa per mezz'ora, 
grazie soprattutto allo stesso prospetto dell'Arsenal e al mancino potente 
e al contempo vellutato di Antoine Griezmann, a tratti incoercibile. L'abbondanza della batteria offensiva, malgrado la scarsa ispirazione del tanto atteso Gaël Kakuta, si è rivelata essere inversamente proporzionale a quella della terza linea, mettendo spesso in crisi il selezionatore Francis Smerecki nelle scelte. Arduo azzeccare l'opzione giusta, quando c'è spazio solo per tre elementi da pescare tra i vari Alexandre LacazetteCedric Bakambu e Yannis Tafer (non a caso, in campo per soli sette minuti in tutta la rassegna), sommati ai suddetti giocatori militanti in Inghilterra e Spagna. Archiviata 
la deludente esibizione coi 'Cafeteros', la Francia si è riscattata non senza fatiche contro la Corea del Sud (3-1), dove l'allenatore ha deciso di affidarsi 
al neo-romanista Loïc Nego per rimpiazzare il disorientato Maxime Colin sulla corsia  esterna destra della retroguardia a quattro. Sunu ha aperto 
le danze  al 27', usufruendo di un'avveduta sponda all'indietro del terzino sinistro Timothée Kolodziejczak (nativo di Avion, padre polacco, è un martello atleticamente infaticabile: tanta corsa e un fisico aitante per un laterale, può e deve sgrezzarsi tecnicamente) su corner di Griezmann, il quale dopo pochi minuti ha piegato le mani di Yang Han-Been con una bolide dalla distanza, stampatosi sulla traversa. Nella ripresa è stato fatale un altro calcio piazzato (59', punizione a giro di Kim Young-Uk), alla luce di cui si è reso necessario un forcing asfissiante, concretizzato dal destro deviato nella propria porta da un difensore asiatico (81') e scagliato da capitan Gueïda Fofana (roccioso mediano di rottura, ha formato una cerniera adeguata 
in tandem con Francis Coquelin, dimostrando anche discrete doti nella costruzione), e dalla mezza girata di Lacazette su cross di Nego (90+1'). 
Il talento del Lione è stato l'arma più adatta a scompaginare gli equilibri vigenti, subentrando spesso dalla panchina per cambiare le sorti di molte gare. C'è riuscito anche col Mali (2-0), laddove la tendenza degli attaccanti 
a cercare giocate solipsistiche ha intorpidito la fluidità di manovra, 
poco convincente nel 4-2-3-1 con Sunu, Kakuta e Griezmann alle spalle 
di Bakambu. Fondamentale anche l'ingresso di Clement Grenier nell'intervallo, finanche capace di verticalizzare in maniera rapida 
per il compagno nei 'Les Gones' (e permettergli di servire lo stesso Bakambu 
al 70') e concludere in prima persona sette minuti dopo, con un destro angolato che non ha lasciato scampo a Cheick Sy. Una sceneggiatura simile 
a quella con cui i transalpini si sono aggiudicati l'ottavo di finale ai danni dell'Ecuador (1-0), in cui il consueto diesel-Bleu si è attestato a pieno regime soltanto nella seconda frazione; match-winner Griezmann, il migliore in campo, rapido nel lanciarsi sul filo del fuorigioco per premiare l'invito morbido di Fofana al 75'. L'intuizione di passare al 4-3-3 ha giovato ancor più nettamente nei quarti di fronte alla Nigeria (3-2 dts), con Grenier promosso ancora titolare ed assist-man sontuoso al 50' per Lacazette (entrato diciassette minuti prima per sopperire al fastidio muscolare di Sunu). La Francia ha però commesso l'errore di accontentarsi dello striminzito vantaggio, e tale inusuale prudenza è stata castigata nei minuti di recupero da un rinvio lungo del portiere africano che ha smarcato piuttosto casualmente Ejike, anche 
per colpa della pigrizia in marcatura di Kolodziejczak, Koulibaly e Faure. 
Nei supplementari è salito in cattedra Fofana, ribadendo la leadership personale con una palombella d'esterno destro dal limite bastante a scavalcare il brevilineo Dami Paul (102'), prima che Kakuta si decidesse alfine di sfoderare le sue qualità nell'uno-contro-uno in spazi stretti, utili a rifornire 
il liberissimo Lacazette a seguito di una serpentina d'alta scuola (104'). 
Non è stato invece sufficiente il dominio sterile in semifinale, quando 
i 'Galletti' hanno provato in svariate occasioni a penetrare l'infrangibile carapace lusitano, né tantomeno l'iniziale stacco imperioso di Lacazette (finalmente schierato dal primo minuto...) su cross dalla sinistra dell'altro lyonnais Kolodziejczak contro il Messico per ergersi sul podio iridato.

Postilla a margine: l'indegno direttore tecnico della Federcalcio francese, François Blaquart, e l'altrettanto inqualificabile Laurent Blanc 
("Chi c’è oggi di grosso, prestante, potente? Sono i neri (…) Credo che ci si debba ricentrare – soprattutto per i ragazzi di 13-14 anni, 12-13 anni – 
su altri criteri, modificandoli secondo la nostra cultura" - no, non stiamo 
citando il Mein Kampf, queste sono le "semplici", agghiaccianti dichiarazioni 
da lui profferite qualche tempo fa...) magari riflettano sul fatto che 
Alexandre Lacazette e Loïc Nego (origini guadalupensi), Gueïda Fofana (Mali), Gilles Sunu (Togo), Cédric Bakambu e Gaël Kakuta (Congo), Jonathan Ligali (Benin), Thomas Fontaine e Francis Coquelin (Réunion), Kalidou Koulibaly (Senegal), Lionel Carole (Martinica), Yannis Tafer (Algeria), in sostanza lo stesso zoccolo duro che regalò ai transalpini l'Europeo Under 19, siano stati gli artefici del miglior risultato di sempre della Francia Under 20 (nel 1997 e nel 2001 si spinse sino ai quarti di finale, nel 1977 uscì 
al Primo Turno), piuttosto che delirare su aberranti norme discriminatorie 
che limitino l'accesso nei Centri di Formazione ad atleti neri e/o arabi, 
le famigerate "quote razziste"... Una splendida idea, davvero: quando serve sfruttare i risultati di secoli di barbaro colonialismo, per emergere dal cono 
di anonimato di ottant'anni d'esistenza-Blues (1904 - chi si è davvero distinto 
nel passato, prima degli anni Ottanta e la splendida "Generazione Platini"? 
I marocchini Just Fontaine e Larbi Ben Barek, il guadalupense Marius Tresor, per tacer del "polacco", figlio di immigrati, Raymond Kopa...), costoro sono 
i benvenuti, soprattutto per alzare coppe che altrimenti lo stesso Blanc 
(e come scordare il "sublime" Stéphane Guivarc'h?...) avrebbe potuto scorgere solo grazie ad un binocolo di estrema precisione, a voler essere magnanimi; quando, viceversa, spunta la testardaggine non corruttibile di un Kanouté qualsiasi,  allora si tratta di ingrati, che utilizzano in malafede le strutture federali e "non restituiscono nulla al nostro Paese". L'ignoranza non è una piaga biblica, si può sempre contrastare, anche quando si è in là con gli anni... perciò i suddetti signori si sforzino di farlo, ripassando quelle cosucce messe nero su bianco il 10 dicembre 1948:

ARTICOLO 15 
1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. 
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato 
della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.


Nel frattempo, imparino a tacere su argomenti 
al di fuori della loro portata intellettuale.


5° NIGERIA [eliminata ai quarti di finale]
Bilancio: 4 vittorie - 0 pareggi - 1 sconfitta; Gol Fatti = 15 / Gol Subiti = 5
voto 7-
I campioni continentali in carica (Sudafrica 2011 - African Youth Championship) non hanno deluso le attese, guadagnandosi l'aleatoria 
ma soddisfacente reputazione di compagine più divertente del torneo. 
Inserite in un girone tutto sommato abbordabile, le scatenate 'Super Eagles' 
di coach John Obuh (Sharks FC) si sono abbattute con furiosa veemenza 
sui malcapitati avversari, sfoderando una fase offensiva ad orologeria 
(secondo miglior attacco, media perfetta di tre reti a gara) che ha rinverdito 
i fasti del 4-3-3 sperimentato da Paul Hamilton in Unione Sovietica nel 1985, quando Monday Odiaka* e compagni divennero la prima esponente del Continente Nero a salire sul podio iridato. La freccia più acuminata nella capiente faretra nigeriana è stato senz'altro Ahmed Musa, imprendibile 
in accelerazione e scheggia impazzita sugli esterni, sfrontato nel lanciarsi 
in azioni personali per poi irrorare la manovra della marea verde con insospettabile altruismo. Finito ancora minorenne nell'orbita del VVV-Venlo, 
la società olandese sempre attenta nel setacciare i mercati meno consueti del globo (vedi l'affare Keisuke Honda), nella stagione 2009-2010 ha battuto un record che durava da vent'anni in ambito locale, laureandosi capocannoniere con diciotto realizzazioni, utili a trascinare il Kano Pillars FC alla piazza d'onore in graduatoria e migliorare il bottino di Ishaya Jatau (17 reti nella Nigeria Premier League 1990, bissato nel 2008/09 da Orok Akarandut con la maglia dell'Akwa United FC). Controindicazioni sul suo conto? Beh, diciamo che i piedi non sono esattamente delicati quanto quelli di Isco o Lamela, giusto per citare due virtuosi coetanei. La saetta di Jos (capitale del Plateau
e città natale di illustri connazionali quali John Obi Mikel e Victor Nsofor Obinna) ha innestato il proprio turbo sin dall'esordio, scorrazzando sul manto erboso dell'Estadio Centenario per abusare delle fragili difese guatemalteche (5-0) ed ispirare la doppietta del giovanissimo Edafe Egbedi, sotto il violento nubifragio di Armenia. Il prospetto classe'93 del Clique Sports ha confermato quella peculiare puntualità realizzativa lasciata intravedere due anni orsono nell'avventura casalinga dell'Under 17, vice-campione del mondo alle spalle della Svizzera di Dany Ryser grazie alle gesta del tridente Stanley Okoro-Sani Emmanuel-Egbedi, che si avvaleva inoltre del prezioso contributo di Abdul Ajagun, raccordo spesso brillante tra la linea mediana e il fronte avanzato, con ricambi del calibro di Ogenyi Eddy Onazi (1992, My People FC), escluso eccellente in questa spedizione malgrado l'aver preso parte 
ai training camp sostenuti in Portogallo e Panamá tra giugno e luglio.


Anche nel successivo impegno con la Croazia (5-2) lo spauracchio-Musa ha imperversato senza soluzione di continuità, ergendosi ad assoluto protagonista con lo stesso Ajagun e Peter Terna Suswam, difensore esterno destro ex SEC Abuja, Wikki Tourists e Lobi Stars da poco finito al Vitória de Setúbal 
ed inserito nella lista pre-Mondiali in Sudafrica dal CT svedese Lars Lagerbäck, a seguito delle confortanti esibizioni nella vittoriosa 2010 WAFU Nations Cup. Una sua staffilata di collo destro dai trenta metri ha raddoppiato 
il vantaggio firmato dall'agile Olarenwaju Kayode (in forza all'ASEC Mimosas), mentre nella ripresa ha liberato con un morbido cross la potenza aerea di Uche Nwofor (destinato anche lui a rinforzare il VVV-Venlo, i cui emissari avrebbero già contattato i dirigenti delle Flying Antelopes di Enugu),
capace di suggellare il debutto personale nel torneo con una doppietta tra il 69' (due minuti dopo esser entrato in campo, su invito irrinunciabile del solito Musa) e il 73': ragazzo da tenere d'occhio, una possibile scommessa low-cost per società europee armate di coraggio e pazienza. L'innegabile positività 
del risultato ha portato però a sottovalutare un aspetto preoccupante, 
che si sarebbe poi ripresentato nelle sfide da dentro o fuori: eccettuato 
il filtro di capitan Ramon Azeez (oggi all'Almería, dopo che nell'inverno 
2010 entrò nelle grazie degli osservatori provenienti dalle due sponde 
di Manchester) e del sodale Philemon Daniel, la retroguardia nigeriana posta dinnanzi al di per sé volubile Dami Paul (riflessi importanti, ma scarse doti di concentrazione e un fisico ancora troppo mignon, considerati i 173 centimetri d'altezza) è apparsa tutt'altro che equilibrata, in difficoltà soprattutto nel predisporre le marcature in situazione di palla inattiva. Ad ogni modo, 
gli inutili sussulti d'orgoglio croato sono stati metabolizzati senza colpo ferire, 
con le 'Aquile Verdi' insolitamente pragmatiche nel liquidare l'Arabia Saudita 
(2-0: fuga sull'out destro di Omoh Ojabu per favorire la rasoiata di Musa 
agli sgoccioli della prima frazione, arrotondata dalla buona collaborazione 
tra Nwofor e Kayode sul rinvio del portiere all'85') e scalfire la mediocrità 
albionica negli ottavi di finale, con Daniel a verticalizzare sulla sinistra
 per Kayode, a sua volta generoso nel regalare ad Egbedi la più facile 
delle palle-gol. Il meccanismo cinetico della Nigeria si è inceppato 
sul più bello, con le fonti di gioco irretite sul nascere dal quadrato assetto 
transalpino, e la lentezza di pensiero dei difensori Kenneth Omeruo 
("prenotato" dallo Standard Liége da qualche mese, è un centrale con senso della posizione e doti d'anticipo sfruttabili anche sulla fascia: il migliore del lotto, al netto di talune sbavature), Ganiu Ogungbe ed Emmanuel Anyanwu, poco adatti ad applicare con tempismo la trappola del fuorigioco. Obuh 
ha cercato di mescolare le carte, pescando a piene mani dalla panchina 
e cambiando gli interpreti in avanti, con buone risposte trovate solamente nell'opportunismo di Maduabuchi Bright Ejikepurtroppo insufficienti per proseguire il cammino lungo il sentiero della 9ª partecipazione alla rassegna.

* = suo il gol più veloce nella storia dei Mondiali: 
24 agosto 1985, Dinamo Stadion (Minsk) 
NIGERIA-CANADA 2-0 [partita sbloccata dopo dodici secondi].


6° COLOMBIA [eliminata ai quarti di finale]
Bilancio: 4 vittorie - 0 pareggi - 1 sconfitta; Gol Fatti = 11 / Gol Subiti = 6
voto 6,5
Un intero Paese si è fermato per un paio di settimane, palpitando come da tempo non accadeva da queste parti in vista di una manifestazione sportiva 
e stringendosi attorno ai propri eroi, alla ricerca di un sogno epocale.
Le premesse per centrare un traguardo mai sfiorato in precedenza c'erano tutte: i baby-'Cafeteros', infatti, hanno presentato una generazione zeppa 
di talento, per giunta reduce dal fresco trionfo al Toulon Tournament 2011 (1/10 giugno), quando era riuscita a mettere in riga i padroni di casa, ossia la Francia del top-scorer Steven Joseph-Monrose, l'Italia Under 21 
di Ciro Ferrara, il Messico e il Portogallo, in pratica tre delle cinque compagini che hanno chiuso davanti ai sudamericani il loro Mondiale. Per uno strano scherzo del destino, son stati proprio quei nordamericani eliminati in semifinale allo Stade Mayol (2-1) a porre stavolta fine alle speranze di gloria colombiane, infrantesi come gocce di cristallo sul cemento tatticamente impeccabile della 'Tri', nell'unica ma fatale sconfitta del percorso netto sin lì inanellato. A dire il vero, le convocazioni del CT Eduardo Lara Lozano hanno suscitato qualche malumore alla vigilia; se può considerarsi normale l'assenza di Andres Ramiro Escobar (in più riprese vicino al Genoa di Preziosi) in rapporto alle alternative più che credibili nel parco-attaccanti, risulta meno spiegabile la rinuncia ad Edwin Cardona, 'el melhor hombre del equipo' sia nella trasferta transalpina che nel Campeonato Sudamericano Sub-20 in Perù. Le polemiche sono state quasi tutte dimenticate il 30 luglio, oscurate dallo spettacolo baluginante offerto alle spese della Francia, illusoriamente avanti 
al 21' prima di essere schiacciata dall'orgoglio e dall'entusiasmo tricolor. 
E' proprio la stella più attesa ad occuparsi della svolta necessaria, James Rodriguez, che col suo mancino fatato scova un corridoio invisibile tra quattro avversari per esaltare la sovrapposizione di Santiago Arias (lateral direito dall'elegante incedere, puntale nell'accompagnare lo sviluppo della manovra), atterrato in area per un sacrosanto penalty, trasformato con nonchalance dallo stesso numero dieci. Dopo l'intervallo, la stellina del Porto dà vita ad un'esaltante staffetta con Michael Ortega (regista avanzato con visione di gioco da urlo; deve lavorare sul piano fisico, per acquisire continuità e maggior dinamismo lungo tutta la durata delle gare, oltre che limitare qualche eccesso di leziosismo, ma è un elemento di sicura prospettiva), 
l'altro direttore di un'orchestra ispirata e piacevole da ammirare: il primo conferma l'affiatamento con Arias, bravo ad incrociare in corsa un suo cross dalla sinistra (64'), mentre il mediocampista dell'Atlas sfodera due perle 
(una di tacco) per il devastante Luis Muriel, autentico incubo della difesa Bleu tra il 48' (dribbling a rientrare e destro sul primo palo) e il 66' (tiro col piede opposto da posizione defilata: che dire, tanto di cappello all'ennesimo colpaccio azzeccato dall'Udinese...). In quest'ultima azione si rivela prezioso anche il contributo dell'altro laterale, Hector Quiñones (spinta costante e corse a perdifiato sul proprio binario, ogni tanto difetta nella gestione delle forze e nelle scelte di passaggio), brillante nell'anticipo volto a scongiurare
un contropiede francese. Meno spettacolo e più concretezza col Mali (2-0),
in un match in cui si segnalano altri protagonisti come la diga mediana formata dal frangiflutti Didier Moreno e l'irruente Juan Cabezas (ingranaggi indispensabili in un 4-2-3-1 a trazione decisamente anteriore, ligi al dovere seppur spesso ingolositi dalla sfera in pressing alto), e soprattutto il leader della retroguardia (e capitano) Pedro Franco, centrale pulito negli interventi 
e dal piede educato sui lanci lunghi, non sempre surrogato al meglio dal più giovane ed inesperto Jeison Murillo. Le giocate decisive, però, nascono sempre dall'inventiva dei soliti noti: al 23', una carezza in pallonetto di Ortega spalanca la via della porta davanti a José Adolfo Valencia, 'El Trencito' dall'accelerazione esplosiva che ha scavalcato nelle gerarchie l'altra scheggia Fabian Castillo (ala d'attacco amante dell'uno-contro-uno); 
un minuto oltre il novantesimo, Rodríguez spende le ultime risorse atletiche per lanciarsi in profondità e dettare il passaggio giusto a Javier Calle (Independiente Medellín), finendo per la seconda volta sul tabellino dei marcatori. Tre giorni più tardi, la Colombia legittima il suo dominio nel Gruppo A con un 1-0 all'ordinata Corea del Sud, piegata da un'ottima prestazione di Muriel, tornato ad accontentarsi di giocate meno complicate 
e/o forzate dopo la pioggia di complimenti cadutagli addosso all'esordio 
e parzialmente ritrattata con gli africani. La scoperta dell'Udinese conferma 
la propria attitudine a reggere da solo il peso del reparto, facendo a sportellate con i difensori asiatici e centrando una traversa fragorosa con un destro 
di controbalzo, prima di stoppare un lancio di Rodríguez, dribblare il portiere 
in uscita allargandosi sin quasi la linea di fondo, accentrarsi verso l'area 
ed eludere i disperati tentativi di recupero avversari con un preciso piattone sinistro (37') per il gol-vittoria. Nei turni ad eliminazione diretta, son venuti 
al pettine alcuni dei nodi più ingarbugliati; intanto, le incertezze in presa dell'estremo difensore Christian Bonilla (classe '93, va ricordato) non hanno certo contribuito a regalare sicurezza in fase di non possesso. Nell'insieme, 
poi, il 4-2-3-1 voluto da Lara si è spesso sfilacciato per via della scarsa coralità, adagiandosi di frequente sulle giocate dei singoli. Emblematico l'attentato 
alle coronarie degli spettatori messo in scena contro Costa Rica (3-2), 
quando il CT è stato messo in scacco per buona parte della ripresa dall'omologo Rónald González, astuto nell'approfittare dell'infortunio di Quiñones con il motorino Ruiz, mentre dall'altra parte l'azzardo di adattare il povero Calle ha scombussolato notevolmente l'impianto sudamericano, parzialmente riavutosi con l'ingresso del centrocampista Sebastián Pérez (l'altro giocatore nato nel 1993 presente in rosa, militante nell'Atlético Nacional; col senno di poi, si sarebbe potuto rischiare anche nei quarti, 
vista la confusione della coppia mediana). Muriel ha illuso di aver risolto 
la pratica al 56' su lancio calibrato di Ortega (ora vicino al Bayer 
Leverkusen)ma il micidiale uno/due costaricense (63' e 65') ha presto
gettato nello sconforto l'El Campin, pressoché stipato in ogni ordine di posti.
La frenesia di riacciuffare il match ha affardellato le gambe dei 'Tricolor', 
fino a quando Pedro Franco non è riuscito a scacciare i fantasmi della disfatta al 79', incocciando un cross di Rodríguez sfuggito al portiere Aaron Cruz. 
L'intera nazione è potuta poi esplodere negli ultimi scampoli, quando il neo-entrato Duvan Zapata si è conquistato un altro ingenuo regalo dei 'Ticos', permettendo allo stesso James Rodríguez di sfogare le proprie frustrazioni su calcio di rigore (90+3'). Recentemente accasatosi all'Estudiantes, in Argentina, il poderoso artilheiro originario di Cali è stato schierato titolare per la prima volta nell'impegno susseguente, ripagando la fiducia concessagli con un tiro dalla distanza di scarse pretese che ha ingannato il portiere messicano (60'), ma che a conti fatti è risultato pleonastico per le sorti della sua squadra. 
Il torneo della Colombia resta comunque di alto livello; certo, un pizzico 
di delusione non si può celare, accompagnato dal retrogusto amaro 
per quella che sembra esser stata un'occasione forse irripetibile, 
capitata tra le mani di un gruppo non inferiore ad altri meglio classificatisi.


7° SPAGNA [eliminata ai quarti di finale]
Bilancio: 3 vittorie - 2 pareggi - 0 sconfitte; Gol Fatti = 13 / Gol Subiti = 4
voto 6,5
Una buona notizia per gli equilibri traballanti che vigono nel mondo del calcio: i dominatori spagnoli degli ultimi tempi sanno anche perdere... 
Eh sì, perché mentre il Barcellona e la sua illuminata politica suscitano inutili e puerili invidie piuttosto che diventare un modello lungimirante da imitare con La Masia, o quantomeno uno spettacolo da applaudire in silenzio (...), in questa afosa estate le baby-'Furie Rosse' si erano messe in testa 
di ripetere per filo e per segno le imprese della Nazionale Maggiore. 
Intanto con l'Under 21, soverchiatrice a livello continentale in Danimarca (11/25 giugno) e malgrado la bella figura fatta dalla Svizzera di Xherdan Shaqiri e Admir Mehmedi, con i vari Thiago Alcantara, David de Gea, Juan Mata, Ander Herrera, Javi Martinez, Iker Muniain ed Adrian Lopez Alvarez a conquistare il terzo titolo europeo; e successivamente con l'Under 19 in Romania (20 luglio/1° agosto), che sulle ali di Paco AlcacerAlvaro Morata e Gerard Deulofeu (un potenziale fuoriclasse) ha piegato le resistenze della Repubblica Ceca di Tomas Kalas e Tomas Prikryl 
per centrare invece il quinto alloro. Un siffatto accavallarsi di scadenze da onorare ha costretto il basco Julen Lopetegui Argote a rinunciare a svariati atleti ipoteticamente arruolabili per la spedizione colombiana, a cui si è aggiunto l'infortunio del lateral derecho Martin Montoya, sostituito come meglio non si sarebbe potuto da Hugo Mallo, fatta la doverosa tara del tasso tecnico inferiore rispetto al barcelonista, soprattutto in fase di spinta
sul binario di competenza. Nonostante il cast fosse in palese versione rimaneggiata, la Spagna ha sbaragliato la concorrenza nel Gruppo C 
a Manizales, infierendo sin da subito sulle distrazioni difensive costaricensi 
(4-1): Rodrigo ha scandito il ritmo tra il 14' e il 48' con il suo poco elegante opportunismo nell'aria piccola, mentre Koke (81') ed Isco (90+4', su penalty inesistente) hanno arrotondato il punteggio, senza però mai incantare. 
Questi risultati altisonanti (aggiungiamo il 2-0 all'Ecuador ed il 5-1 sull'Australia), infatti, potrebbero fuorviare dal giudizio più veritiero sulle prestazioni complessive, non particolarmente eccitanti e soprattutto discordi da quella magnifica visione di "fútbol asociativo" che tante soddisfazioni ha portato nel corso degli anni. L'allenatore non è riuscito a dirimere alcuni equivoci tattici, primo fra tutti quello inerente la questione del modulo; 
partito con l'idea di un 4-3-3 che valorizzasse le qualità da mezz'ala
sui generis di Sergi Roberto (con Recio in alternativa), 
Lopetegui ha virato deciso sul doble pivote Oriol Romeu-Koke 
(sostanza e geometrie alla mercé della squadra, un pizzico troppo lineari 
ed ordinati per allietare davvero gli astanti) dietro al trio di trequartisti, 
pattuglia in cui ha deluso enormemente dalla casella sinistra Dani Pacheco, fenomenale a Francia 2010 ed anonimo appena dodici medi più tardi. Insieme a lui ed Isco (cambi di direzione ed intuizioni magiche, diradate però nel corso dei novanta minuti), sulla destra ha trovato un suo spazio l'atletismo di Cristian Telloche si è guadagnato la pagnotta per quanto non sarebbe dispiaciuto vedere con frequenza anche 'El Zequi' Ezequiel Calvente
lo scricciolo del Real Betis in campo per soli sessantuno minuti in totale. 
Nello spot di punta centrale, il CT ha preferito affidarsi al lavoro sfiancante garantito da Rodrigo, con la sua generosità al confine del podismo volta 
a dar fastidio ai difensori avversari, per poi giocarsi spesso la carta
Alvaro Vazquez in corsa; come volevasi dimostrare, il puntero dell'Espanyol ha confermato maggior freddezza sotto porta, graffiando con regolarità per una media di un gol ogni 43.8 minuti, la più alta del torneo insieme a quella del francese Lacazette (70.6, a sua volta il primo giocatore di sempre ad entrare quattro volte nel tabellino dei marcatori dalla panchina). Trame più raffinate si sono ammirate con l'ingresso di Sergio Canales, a mezzo servizio per via delle solite noie muscolari eppur capace di rovesciare l'abulicità dei suoi contro i dinamici ecuadoregni nella ripresa e dominare la scena sugli sgomenti australiani; speriamo gli riesca al Mestalla di azzerare l'anno buttato a causa degli aberranti concetti di "calcio" (?) snocciolati da José Mourinhopatetica e nauseabonda pantomima che può scaldare giusto i cuori degli incompetenti (o, al limite, dei masochisti...). In retroguardia, detto della disciplina di Mallo, non ha convinto appieno sulla banda izquierda l'alternanza di Antonio Luna (Siviglia) e Carles Planas, mentre il compañero de equipo Marc Bartra 
ha rubato l'occhio in virtù del suo regale portamento, in coppia con l'altro catalano Jordi Amat (1992, sponda espanyolista: il battesimo ne La Liga 
è datato 24 gennaio 201o, Espanyol-Mallorca 1-1 nell'ultima di andata).



8° ARGENTINA [eliminata ai quarti di finale]
Bilancio: 3 vittorie - 2 pareggi - 0 sconfitte; Gol Fatti = 6 / Gol Subiti = 1
voto 6+
Chi di scandalose simulazioni ferisce, di provvidenziale lotteria ai rigori perisce. La squadra più vincente nella storia del torneo, contentino ideale al pari dei Giochi Olimpici per una Nazionale che a livello senior non alza alcuna coppa dal 1993, prosegue nella sua striscia di diciotto partite senza sconfitte (eguagliato il record del Brasile 1989-1995), inaugurata nel 2005 e tuttora in corso. Sei anni fa in Olanda, infatti, il gruppo selezionato da Francisco Ferraro varò il suo cammino perdendo di misura con gli Stati Uniti, settantadue ore prima che il CT si convincesse a schierare finalmente titolare un di lì a poco diciottenne Lionel Messi, che ripagò la fiducia trascinando i suoi compagni 
in un percorso netto, scandito dal numero sei: sei vittorie nei successivi sei impegni, titolo di capocannoniere con sei gol e conquista dell'alloro iridato. 
Il testimone passò nelle mani di Hugo Daniel Tocalli nel biennio susseguente (Canada 2007: sesto titolo dell'Albiceleste, sei vittorie ed un solo pareggio, ancora all'esordio, contro la Corea del Nord per Sergio Agüero & C.), 
e da allora è finito direttamente a Walter Perazzo (nel Sudamericano Sub-20 
in Venezuela, un Sergio Batista già in vena di "imprese" riuscì a fallire l'accesso ad Egitto 2009...). Nato a Bogotá il 2 agosto 1962 da genitori argentini, ed in barba alla proverbiale condanna del "nemo propheta in patria est"l'ex-delantero del San Lorenzo de Almagro (77 gol in 240 apparizioni tra il 1979 e il 1988) si augurava senz'altro una permanenza più duratura nella terra della 'Libertad y Orden', e forse risposte di maggior maturità dai suoi attesissimi (ed in parte sopravvalutati) 'niños de oro', non tutti in condizioni fisiche ottimali. In particolare, la stellina Erik Lamela ha sofferto il riacutizzarsi del problema ad una caviglia capricciosa, già infortunata durante il tragico finale di stagione, che ha visto il suo River Plate sprofondare 
in Primera B Nacional per la prima volta in 110 anni di gloriosa epopea, e tornata ad affliggerlo a seguito di una botta al debutto che ha riacutizzato il dolore latente. La prestazione globale fornita nell'arco dei novanta minuti e l'iniziativa personale che lo ha reso il match-winner col Messico (1-0), in ogni caso, restano gli acuti più incoraggianti per i tifosi della Roma (i quali, sia chiaro, dovranno armarsi di pazienza, giacché 'El Coco' è una scommessa ad alto rischio, un investimento oneroso rispetto al suo attuale valore, ma sarebbe saggio non lasciarsi trasportare dalla brezza dei giudizi tranchant dati a cuor leggero): la stoffa c'è tutta, idem il tempo per maturare gradualmente
Il neo-giallorosso si è alternato con l'altro prospetto più talentuoso tra i convocati, Juan Manuel Iturbe, nell'incarico di irraggiare un 4-2-3-1 spesso annebbiato dagli asettici tocchi superflui di taluni interpreti. Il CT si è avvalso della completezza di Adrian Martinez per disporlo sullo scacchiere come esterno alto, tamponando ogni spiffero alle sue spalle con Hugo Nervo
più bloccato anche rispetto al vivace terzino sinistro Nicolas Tagliafico
per fornire sostegno alla coppia centrale griffata River German Pezzella-Leandro González Pírez (1992) e proteggere al meglio un ottimo Esteban Andrada, arresosi solo dal dischetto in questa rassegna e non per niente obiettivo di mercato, neanche tanto segreto, del Barcellona. Risorsa essenziale nel settore nevralgico del campo si è rivelato essere Roberto Pereyra
un cursore di fascia mancino adoperabile all'occorrenza sul fronte opposto, 
di recente finito nelle maglie dell'impareggiabile rete di scouting udinese, in missione nel subcontinente per pescare ulteriori tasselli del mosaico futuro come lui e il peruviano Andy Polo, vincitore della Copa Libertadores U-20 2011 con il Club Universitario de Deportes, ai danni del Boca Juniors, insieme al coetaneo Edison Flores. Concluso a reti bianche il match con l'Inghilterra, con il suggestivo duello a distanza tra Andrada e Butland, due dei portieri più promettenti visti in Colombia, l'Argentina ha finalmente trovato con maggior continuità la via della rete grazie all'inconsistenza della Corea del Nord (3-0), in una gara che sembrava maledetta alla luce della noia muscolare occorsa a Pezzella (sostituito da quel momento in poi da Leonel Galeano, accostato 
in più riprese al Catania ed altri club del nostro campionato) e del riposo precauzionale imposto a Lamela. Il centravanti Facundo Ferreyra 
si è alfine sbloccato al 36', imbeccato su cross dalla sinistra di Carlos Luque, mentre gli altri due gol sono arrivati dalla panchina: il secondo da Lucas Villafañez, subentrato all'80' ad 'El Chucky' e in rete dopo soli quattro minuti, girando di prima intenzione una scucchiaiata di Iturbe, ed il terzo da Ezequiel Adrian Cirigliano, con un destro ravvicinato all'angolino. Interlocutorie le sensazioni suscitate dall'attaccante esterno del Colón, positivo nel ravvivare la manovra offensiva anche nei pochi scampoli disputati contro 
i britannici, ficcante seppur fumoso nelle accelerazioni sull'out sinistro, ma da inequivocabile bollino rosso negli atteggiamenti, in riferimento alle squallide simulazioni messe in scena contro gli egiziani e che hanno ingannato l'arbitro svedese Markus Strömbergsson, per un furto perpetrato negli ottavi di finale; da appassionati di questo sport, fa rabbrividire il solo pensiero che tali "furbizie" (?) siano arrivate da uno dei ragazzi più giovani del team (classe '93, come Iturbe ed Alan Ruiz del Gimnasia La Plata, monitorato dall'Inter), poiché se il buongiorno si vede dal mattino... Per fortuna, le parate di Mika
su Ruiz e Tagliafico e la precedente traversa colta da Pirez hanno ripagato un'insipida Argentina con la stessa, amara moneta inflitta agli africani,
resa ancor più difficile da intascare dopo le illusorie gesta di Andrada
ed i suoi voli a disinnescare le esecuzioni di Danilo Pereira e Roderick Miranda.


Chiudiamo con il nostro 
TOP-11 di Colombia 2011
[4-2-3-1, purtroppo il modulo più utilizzato]...






       
Luis Muriel [Nélson Oliveira / Henrique]


...e la FIFA Top 10 Goals U-20 World Cup Colombia 2011
[clicca qui per la video-compilation]

1. Tommy Oar in AUSTRALIA-ECUADOR 1-1 (Manizales, 31 luglio 2011) 
2. Luis Muriel in COLOMBIA-FRANCIA 4-1 (Bogotá, 30 luglio 2011) 
3. Oscar in BRASILE-PORTOGALLO 3-2 dts (Bogotá, 20 agosto 2011) 
4. Peter Suswam in CROAZIA-NIGERIA 2-5 (Armenia, 3 agosto 2011) 
5. Erik Lamela in ARGENTINA-MESSICO 1-0 (Medellín, 29 luglio 2011) 
6. Kim Young-Uk in FRANCIA-SUD COREA 3-1 (Bogotá, 2 agosto 2011) 
7. Sergi Roberto in AUSTRALIA-SPAGNA 1-5 (Manizales, 6 agosto 2011) 
8. Gueïda Fofana in FRANCIA-NIGERIA 3-2 dts (Cali, 14 agosto 2011) 
9. Gilles Sunu in COLOMBIA-FRANCIA 4-1 (Bogotá, 30 luglio 2011) 
10. Willian in BRASILE-AUSTRIA 3-0 (Barranquilla, 1 agosto 2011)





ecco il link delle altre sedici partecipanti


Marco Oliva per FUTBOLANDIA DREAMIN'